lunedì 29 luglio 2013

RECENSIONE: trilogia “MY LAND” di Elena P. Melodia

Come avevo già anticipato ho alcune letture arretrate a proposito delle quali credo sia opportuno scrivere qualche post.
Partiamo dalla serie “My Land” (una trilogia  young adult a metà tra il thriller paranormale e l'urban fantasy), di Elena P. Melodia, che se non vado errata è uscita tra il 2010 e il 2011. L’ho letta nell’ultimo mese e ora sono pronta per parlarvene.

Prima impressione
La serie “My Land” si compone di tre romanzi:
1. Buio;
2. Ombra;
3. Luce.
Devo dire che inizialmente il titolo non mi diceva nulla... ma alla fine si scopre il perché la serie abbia proprio questo titolo.

La trama
Alma è una ragazza un po’ troppo snob, vista dalle sue nuove amiche (Seline, la patita dello shopping; Naomi, la ragazza tranquilla ma solare; Agatha, la ragazza taciturna che sembra nascondere molti cadaveri in cantina) come una leader, che non ci tiene a far sapere di provenire da una famiglia di ceto sociale medio-basso composta dalla madre, infermiera, dal fratello che si ritiene un vero riBBBBelle perché si veste in modo strano, è sempre imbronciato e tratta male chiunque (venendo considerato mezzo matto XD) e dalla sorella minore Lina, che non parla da quando ha subito un forte trauma.
La vita di Alma cambia improvvisamente in due modi, quasi contemporaneamente: per quello che succede ai suoi amici e per quello che succede dentro di lei... e fuori.
Dal punto di vista degli amici, Seline inizia a soffrire di problemi psicologici piuttosto seri dopo che il loro compagno di scuola Adam l’ha ripresa mentre era seminuda negli spogliatoi e ha diffuso il video. Le quattro ragazze decidono di vendicarsi aggredendo Adam, e Alma rimane piuttosto sconvolta da Agatha, che sembra quasi volerlo uccidere (Adam, terrorizzato da Agatha, in seguito si auto-accuserà di un incendio appiccato a scuola da lei stessa, perché teme ritorsioni da parte della ragazza). A questo si aggiunge che Naomi viene stuprata da un gruppo di satanisti, dopo essere stata adescata da uno di loro.
Nel privato, invece, dopo avere acquistato un quaderno dalla copertina viola, Seline inizia a scrivere, del tutto inconsapevolmente, nel cuore della notte quello che sogna: sogna efferati delitti, che puntualmente si trasformano in realtà, e addirittura arriva al punto di sentirsi spinta da una forza sconosciuta ad assassinare il proprio fratello. Terrorizzata da quanto sta succedendo e dal fatto che uomini vestiti tutti uguali la inseguano e sembrino svanire nel nulla se spinti in un corso d’acqua, Alma indaga sugli omicidi, anche grazie all’aiuto del compagno di scuola Morgan, che ha un comportamento piuttosto ambiguo e [ATTENZIONE! da questo punto in poi ci sono spoiler grandi come una casa] che le permette di conoscere quale sia la sua vera natura. Sia Alma sia Morgan, infatti, sono figli del Leviatano, una creatura che vuole che il mondo sia controllato dal male e che sfrutta le anime che non hanno mai avuto un corpo (i “mai nati”) per commettere delitti, facendole rivivere, incapaci di provare sentimenti, all’interno dei corpi riesumati di persone che si sono appena suicidate e modificando i ricordi di altre persone per dar loro una famiglia, che li dimenticherà non appena accetteranno la loro vera natura. Morgan fa parte di un gruppo di “mai nati” ribelli, che hanno scelto di allontanarsi dal male, e di cui anche Alma entra a far parte, pur sapendo che i “mai nati” fedeli al male vogliono ucciderli, cosa che di fatto accade a Morgan, la cui anima ritorna a My Land, il luogo in cui le anime che non hanno mai avuto un corpo si trovano in attesa di essere mandate sulla Terra. Ad aiutare Alma non ci saranno soltanto i “mai nati” ribelli, ma anche Adam (l’unico umano al quale Alma rivela la verità), le amiche (compresa Agatha, finita prima in carcere e poi in un ospedale psichiatrico per avere mummificato il corpo della zia per non farne scoprire la morte per una grave malattia e di conseguenza non essere affidata ai servizi sociali) e Cleo, una “mai nata” che stava dalla parte del male finché, all’improvviso, il contatto con Lina non ha rimosso tutto ciò che ricordava.

I personaggi
Alma si rivela, nel corso della serie, un personaggio innovativo e mai banale. Diversamente da molte protagoniste di romanzi appartenenti allo stesso genere, che aspettano di essere salvate miracolosamente dal ragazzo belloccio di turno, lei agisce in prima persona e - anche grazie alla sua incapacità di provare sentimenti - non si lascia mai andare a considerazioni troppo languide e soprattutto, grazie al cielo, non passa tutto il proprio tempo a pensare a quanto Morgan (che le piace e al quale rimane legata anche dopo averlo perso) sia un figo. Soltanto all’inizio l’ho trovata un po’ stereotipata: mi è sembrata la classica ragazza bella e stronza ai quali tutti corrono dietro nei film americani per adolescenti, che si diverte a maltrattare i compagni di scuola. Per fortuna non è stata così.
Gli altri personaggi, almeno quelli principali, mi sono sembrati ben caratterizzati e mai troppo banali o scontati: sono tutti personaggi di cui, una volta completata la lettura del terzo romanzo, mi è rimasta memoria.

Punti di perplessità
Troppe sotto-trame: oltre alla storyline principale, da un lato c’è la storia dello stupro di Naomi (che si rivela irrilevante per la trama principale), dall’altro quella dell’incendio a scuola (anch’essa irrilevante) e quella della mummificazione del corpo della zia di Agatha (che, di fatto, serve prevalentemente per permettere di introdurre il personaggio di Cleo e quello di suo fratello Rio). La mia impressione è che l’autrice sia stata un po’ troppo dispersiva, rischiando talvolta di allontanarsi da ciò che era il fulcro della narrazione.
Punti non chiariti: sarà che io sono una persona che vuole risposte ai propri dubbi, ma non ho capito perché Agatha abbia appiccato l’incendio, chi sia davvero il Leviatano (è una creatura malvagia e si serve dei propri figli per far trionfare il male... ma a parte questo? perché ha scelto di farlo?), ma soprattutto quale potere abbia Lina e perché riesca a ricordarsi di Alma quando quest’ultima è stata dimenticata da tutti (si dice più o meno velatamente che Adam non la dimentica perché s’è innamorato del suo lato umano, ma su Lina non si danno spiegazioni).
Finale troppo frettoloso: per i primi due romanzi e per buona parte, Alma indaga sugli omicidi (arrivando anche a mettersi nei guai con la legge) scoprendo che esiste un legame tra le vittime dei “mai nati”... invece di lasciarle scoprire come stanno le cose a poco a poco, però, l’autrice ha scelto di farle rivelare tutto, in un paio di pagine, da un’anima che Alma incontra a My Land. Sarà che mi piace che i misteri siano svelati un passo alla volta, invece di avere una soluzione su un piatto d’argento, ma avrei preferito che questo punto in particolare fosse stato trattato diversamente.

Ma ovviamente ci sono molti lati positivi...
Il primo che salta all’occhio è quello di non avere ambientato la serie in una location esistente. Non che ci sia nulla di male in questo, ma scegliere una località fittizia (chiamata “la Città”, in modo generico) spesso può aiutare per non far sembrare il romanzo troppo irrealistico.
Oltre a questo non posso fare a meno di notare come le creature inventate dall’autrice siano originali e mai viste in altri romanzi simili e che, seppure condannate dal proprio destino a comportarsi in un certo modo, siano riuscite a riscattarsi e a prendere le loro decisioni.
Inoltre, cosa che non sempre accade negli urban fantasy, è stata finalmente data più importanza al lato fantastico anziché a quello sentimentale (la relazione che si sviluppa tra Alma e Adam nel terzo romanzo è parte integrante della trama, e serve probabilmente a giustificare il fatto che Alma scelga di confidarsi con lui, ma non prende mai il sopravvento su tutto il resto).
È doveroso aggiungere anche che gli scontri tra le fazioni, quella dei “mai nati” orientati al bene e quella dei “mai nati” orientati al male, vengono sviluppati in maniera piuttosto originale e senza proporre scene trite e ritrite.

Valutazione finale: 4/5
È stata una serie molto emozionante, mai banale e scontata. L’idea di base aveva un buon potenziale e a mio parere questa idea è stata sviluppata nel migliore dei modi.

sabato 27 luglio 2013

Recensione: “QUATTRO VOLTE DOMENICA” di Mary Higgins Clark

Ho un po’ di lavoro arretrato (approfittando delle giornate al mare, della biblioteca comunale e del tempo libero ho portato avanti numerose letture – tra cui, ma non solo, una delle serie paranormal romance più chiacchierate dell’ultimo decennio, di cui parlerò presumibilmente la prossima settimana) e ho deciso di iniziare da “Quattro volte domenica” di Mary Higgins Clark, un romanzo del 1996, a metà tra il giallo e il thriller, che ho letto sotto l’ombrellone giovedì scorso.

Impressioni
Pubblicato con il titolo originale di “My Gal Sunday”, si ispira nel nome, a quanto ho capito, ad un programma radiofonico (o televisivo?) che la Higgins Clark stava ascoltando quando ha avuto un’illuminazione sui due personaggi principali, Henry e Sunday.
Il titolo italiano si ispira probabilmente al fatto che, all’interno del romanzo, siano presenti quattro distinti episodi.

I personaggi
Henry è l’ex presidente degli Stati Uniti, è stato eletto per due mandati, e ha solo 44 anni. In pratica è diventato presidente quando era appena un bambino...
Sunday è sua moglie, è un membro del Congresso (quindi più o meno una parlamentare), ha una trentina d’anni... e pare che il suo impegno politico sia pressoché nullo, dal momento che la ritroviamo sempre al seguito del marito.
I due, per cause di forza maggiore, si improvvisano detective, e risolveranno brillantemente ben quattro casi.
A parte questo, non so se è un’impressione mia, ma li trovo alquanto irrealistici, specie per l’età di lui e per il fatto che, tranne gironzolare, farsi gli affaracci loro e indagare su dei delitti non fanno mai nulla. Eppure dovrebbero essere persone un po’ più impegnate del primo che passa per la strada...

Gli episodi
1) Più simile a un giallo classico che a un thriller, genere in cui la Higgins Clark si è sempre distinta, Henry e Sunday si ritrovano ad affrontare un notevole problema: l’ex segretario di stato, loro caro amico, viene accusato di avere sparato alla sua giovane fidanzata, con la quale si era appena lasciato. Lui, però, non ne ricorda nulla. E infatti non è stato lui, come Henry e Sunday hanno brillantemente modo di scoprire. La soluzione, però, va un po’ oltre quella del giallo classico: di solito il colpevole è un personaggio ben noto al lettore, invece qui siamo in pieno caso “non importa se quel personaggio l’avevo nominato solo per caso introducendolo come irrilevante, se gli avessi dato un ruolo si sarebbe capito che era il colpevole”.
2) Nell’episodio successivo, a mio avviso quello più appassionante, Sunday viene rapita e sequestrata in uno scantinato (qualcosa del genere l’avevo già letto in un romanzo della Higgins Clark, ma non fa niente...) e il rapitore annuncia che, se verrà liberato un certo terrorista rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, lui libererà Sunday. In realtà non è proprio così... Il rapitore, infatti, non c’entra nulla con il terrorista, si è inventato una storiella che non sta né in cielo né in terra con lo scopo di vendicarsi nei confronti di Sunday perché... no, non vi dico perché, perché se no sarebbe una spoilerata. Il terrorista fissato col caviale e con le cravatte di Armani, però, è un personaggio talmente epico che è una vera fortuna che la nostra Mary ce l’abbia propinato. È il soggetto più memorabile di tutto il romanzo.
3) Ci avviciniamo più al thriller nel terzo episodio: Henry acquista uno yacht sul quale aveva viaggiato da bambino... e purtroppo su quello stesso yacht si nascondono le prove di un omicidio politico avvenuto proprio quando Henry si trovava su quella nave; purtroppo, perché a quanto pare Henry e Sunday non possono stare tranquilli nemmeno in vacanza. Per recuperare le prove viene ingaggiato (ve lo posso dire, dato che i colpevoli sono co-protagonisti e il lettore sa perfettamente quali siano le loro intenzioni) un serial killer che non fa altro che scoppiare a piangere per la sorte della sua anziana madre e delle sue anziane zie, rinchiuse nel carcere di un paese dittatoriale sudamericano (immaginario) e condannate a morte qualora lui non porterà a termine il suo incarico. Ancora una volta la Higgins Clark riesce, presumo involontariamente, a farci trovare più simpatico il colpevole piuttosto che quelli che dovrebbero essere i personaggi positivi... Ho fatto il tifo per lui per tutto il tempo, anche se non aveva neanche la metà del fascino del terrorista di cui sopra.
4) Un bambino francese viene rapito a scopo di estorsione dalla baby-sitter, che ha un incidente stradale; il piccolo Jacques scappa e si perde per i boschi dove Henry ha appena abbattuto un albero sempreverde per farci un albero di Natale (complimenti per la sensibilità ai problemi dell’ambiente, non c’è che dire!). Henry e Sunday immancabilmente se lo portano a casa, pur non sapendo niente su chi sia e da dove provenga, e riescono dopo tante peripezie (come avere cantato canzoni natalizie e inviato email) a riconsegnarlo alla madre.

Struttura
Nonostante la suddivisione in episodi, questi non sembrano troppo distanti l’uno dall’altro: si fanno accenni a quanto già accaduto in quelli successivi, e il lettore può rendersi conto tranquillamente di essere all’interno dello stesso romanzo.
Il testo è sempre fluido, ma il romanzo risente a mio parere della divisione in piccoli episodi, ogni volta che si crea suspense, questa finisce; questo è un vero peccato, in quanto la Higgins Clark (in passato ho letto diversi suoi romanzi) con la suspense ci sa fare.

Valutazione: 3/5
È stata una lettura piacevole, talvolta più, talvolta meno interessante, che ha coinvolto, a tratti, e non sempre con la stessa intensità.
Il primo episodio è stato a mio avviso molto scialbo, il secondo e il terzo sono stati intriganti, l’ultimo è una favoletta di Natale.
Con dei personaggi più credibili, il voto avrebbe potuto essere più alto.

giovedì 18 luglio 2013

RECENSIONE: “IMMORTAL” di Alma Katsu

Primo volume dell’omonima trilogia, il romanzo “The Taker”, pubblicato in Italia con il titolo di “Immortal”, è il romanzo d’esordio di Alma Katsu.
Non è ancora arrivato in Italia “The Reckoning”, mentre “The Descent”, previsto come ultimo romanzo, dovrebbe essere pubblicato nel 2014.

Prima impressione
“Immortal” racchiude un’essenza gotica, mescolando urban fantasy e romanzo storico, che si evince fin dalla copertina della versione originale.
A stonare, nella versione italiana, è forse il titolo: viene scelto un titolo inglese che non ha nulla a che vedere con quello originale, senza che vi sia una precisa ragione.

La trama
Dopo essere stata arrestata per avere ucciso un uomo, la giovane Lanore viene condotta in un ospedale affinché venga medicata per le eventuali ferite riportare nel presunto scontro con la vittima. Qui incontra Luke, un medico depresso sulla quarantina, al quale chiede di aiutarla a fuggire, raccontandogli una storia in apparenza incredibile.
Per far sì che Luke le creda, Lanore si procura un’ampia ferita, che si rimargina istantaneamente: lei è un’immortale, lo è da quasi duecento anni e non può permettere che qualcuno – a parte Luke, che diviene ben presto il suo confidente – venga a conoscenza del suo segreto.
Lanore, cresciuta nel Maine nell’Ottocento, ha una lunga storia da raccontare, che inizia con l’amore non corrisposto provato nei confronti di Jonathan, suo amico d’infanzia, con il quale ha successivamente una relazione clandestina (i due sono divisi dalle differenze sociali: lui appartiene a una famiglia ricca, lei no) culminata con il concepimento di un figlio. Quando Jonathan, per pressione della famiglia, decide di sposare un’altra ragazza, per Lanore non ci sono scelte: su imposizione familiare dovrà lasciare il paese, fingendo di essere andata ad assistere un’anziana parente, rifugiarsi in un convento e, dopo avere portato a termine la gravidanza, dare in adozione il bambino.
Non è quello che succederà: convinta di voler crescere il bambino piuttosto che rinunciare a tutto ciò che le rimane di Jonathan, prende la decisione di non recarsi al convento, anche se questo le costerà l’abbandono da parte della sua famiglia. La sua strada, però, si incrocia con quella di Adair, un individuo crudele che si è macchiato di gravissimi reati nel corso dei secoli... Adair viene da un Trecento in cui riuscì a ottenere l’immortalità grazie a una pozione alchemica, e alla stessa Lanore non lascia scelta: dopo avere abusato di lei e averla sottoposta a molteplici maltrattamenti, la costringe a rendersi immortale allo stesso modo, come ha già fatto con tanti altri. Lanore, a quel punto, non potrà più invecchiare, né tanto meno ferirsi o morire, a meno che non sia lo stesso Adair a deciderlo. Quello che Lanore in un primo momento ignora è che anche Jonathan sia nei piani futuri di Adair, che ha in mente per lui qualcosa di addirittura più macabro...
Il tema centrale di questo romanzo è quello dell’immortalità, trattato in modo più approfondito rispetto a quanto accade in genere negli urban fantasy. Il “vissero per sempre felici e contenti” qui non c’è, l’immortalità è piuttosto fonte di eterno tormento, sapendo che è controllata da qualcun altro e che questa persona può darla e toglierla a proprio piacimento, facendo eventualmente morire le sue creazioni tra le sofferenze più atroci (come si avrà modo di vedere nel corso del romanzo).

Testo e struttura
Il testo è sempre fluido e scorrevole, invita il lettore a proseguire per le oltre 400 pagine lungo le quali quest’intricata vicenda si sviluppa.
Si alternano capitoli ambientati nel presente, narrati in terza persona ma in cui il punto di vista è quello di Luke, capitoli ambientati nel passato (molti di più), in cui la voce narrante è quella di Lanore in prima persona, e altri capitoli ambientati in un passato ancora più lontano in cui sono le vicende di Adair ad essere descritte in terza persona, come raccontate da Lanore.
È a mio parere una struttura piuttosto convincente, che dà molta più importanza a ciò che è veramente più importante: il lettore è sicuramente più affascinato dal passato della ragazza che dalla fuga in automobile in cui è accompagnata da Luke.
Inoltre, anche se si tratta del primo romanzo di una trilogia, ha comunque quella che sembra una conclusione, punto di favore nei confronti di altre serie in cui, invece, sono troppe le domande lasciate in sospeso in attesa del volume successivo.

I personaggi
I personaggi sono caratterizzati molto bene, specie i tre sui quali si incentra la vicenda, mentre gli altri sono talvolta lasciati un po’ in secondo piano.
LANORE: siamo di fronte a una ragazza che prova un amore ossessivo, che per ottenerlo sarebbe disposta a qualsiasi cosa; nel suo sentimento, però, non vede niente di morboso, pensa anzi che la situazione in cui si è ritrovata sia stata determinata soltanto dal comportamento di Jonathan, colpevole di non amarla tanto quanto lei ama lui. È a mio parere una ragazza ingenua soltanto in apparenza, che cerca di sfruttare a proprio vantaggio le situazioni in cui si ritrova, finendo poi per covare un desiderio di vendetta soltanto quando si vede messa da parte: lo fa con Jonathan, a cui dopo essere divenuta immortale sarebbe disposta a fare del male per vendicarsi del fatto che abbia sposato un’altra donna, lo fa addirittura con Adair, al quale permette di seviziarla quasi a cuore leggero finché sa di essere la sua favorita... Lanore è di fatto un personaggio molto controverso, dal quale il lettore non può fare a meno di essere intrigato.
JONATHAN: figlio di un proprietario terriero, fin da piccolo è sempre stato molto legato a Lanore, ma mentre lei l’ha sempre amato in modo ossessivo lui l’ha sempre considerata soltanto un’amica. C’è chi lo vede come un approfittatore che ha sfruttato i sentimenti di Lanore finché ne ha tratto vantaggio, abbandonandola quando la situazione si era fatta troppo gravosa; c’è chi invece lo vede come un eterno indeciso che non può fare altro che arrendersi al fascino delle sue corteggiatrici. Probabilmente la verità sta nel mezzo: da un lato la decisione di Jonathan di abbandonare Lanore non è sicuramente apprezzabile, ma più che dalla sua volontà è dettata piuttosto dalle convenzioni sociali e dal ruolo che la famiglia ha previsto per lui; dall’altro lato non ha mai fatto credere a Lanore da amarla tanto quando lei amava lui, ma lei stessa, presa dalla sua ossessione, ugualmente ha scelto di non tirarsi indietro, forse sperando di fargli cambiare idea.
ADAIR: quello che diviene di fatto l’antagonista di Lanore è un personaggio fin da subito misterioso, di cui si capisce che non sia animato da buoni intenti. Leggendo la sua storia si evince di che cosa sia fatto il suo passato, ma soprattutto è il colpo di scena che arriverà nelle fasi conclusive del romanzo ciò che forse inorridirà di più di tutto il resto. È un personaggio innegabilmente intelligente e scaltro, che nel corso dei secoli è riuscito non solo a macchiarsi di crimini terribili, ma anche a nascondere astutamente la sua vera identità. Al momento Lanore è riuscita ad avere la meglio nei suoi confronti, ma non trattandosi di qualcosa di definitivo ho l’impressione che sia proprio su di lui che “The Reckoning” sarà incentrato...

Valutazione finale: 4,5/5
Alla luce delle valutazioni finora espresse non posso fare a meno di riconoscere l’originalità di questo romanzo e la sua buona costruzione.

Consiglio questo romanzo non solo a chi generalmente legge romanzi incentrati su elementi fantastici, ma anche a chi non è molto attirato da questo genere. “Immortal” di Alma Katsu è a mio parere un romanzo che potrebbe piacere anche a loro.


Recensione scritta per il Corriere della Notte numero 10, del forum Scrittori della Notte.

mercoledì 17 luglio 2013

RECENSIONE: “Dieci Piccoli Indiani” di Agatha Christie

Pubblicato nel 1939, questo romanzo si è ritenuto da molti il migliore romanzo della produzione di Agatha Christie ed è tuttora uno dei gialli più celebri che siano stati mai scritti.

Controversie sul titolo
Questo romanzo è stato pubblicato in Italia con il termine di “Dieci Piccoli Indiani”, ma non solo. Esiste anche un titolo alternativo: “E non ne rimase nessuno”. Dietro a questa duplice titolazione c’è una storia più complessa di quanto si potrebbe credere.
Il titolo “Dieci Piccoli Indiani”, infatti, è alquanto incoerente nella versione italiana. Richiama infatti a una filastrocca per bambini che i protagonisti trovano incorniciata nella casa in cui vengono invitati, in cui non si parla di indiani, ma di “dieci poveri negretti” [CIT.], così come nella versione in lingua originale erano “ten little niggers”.
Il problema è arrivato con l’edizione americana e con la diversa accezione del termine “nigger” tra l’inglese britannico e l’inglese americano. Mentre questo termine non era ritenuto un termine dispregiativo in Gran Bretagna, dove era comunemente utilizzato per indicare persone di colore, in America aveva una connotazione maggiormente offensiva.
Nell’edizione americana il testo venne quindi cambiato in “ten little Indians”. Il titolo, però, non fu “Ten Little Indians”, come si poteva intuire, ma “And There Was None”, riferito al finale della filastrocca, peraltro incoerente nella traduzione italiana: il titolo alternativo è “E non ne rimase nessuno”, che viene però tradotto nel testo con la variante “e nessuno ne restò”.

La trama in breve
Dieci persone vengono invitate da uno sconosciuto, che si firma come U.N.Owen (per l’assonanza – si scoprirà in breve – tra la pronuncia di “UNOwen” e quella di “unknown”, cioè sconosciuto), a trascorrere una vacanza in una villa a Nigger Island, un’isola deserta che si rivela alquanto inquietante. Tutti accettano, chi per un motivo chi per l’altro, e si ritrovano sull’isola, dove colui che li ha invitati non si fa vedere.
Qui trovano la filastrocca incorniciata e corredata da dieci statuette, come a rappresentare i personaggi di cui essa racconta, che spariscono uno dopo l’altro:

Dieci poveri negretti
se ne andarono a mangiar;
uno fece indigestione,
solo nove ne restar.

Nove poveri negretti
fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato,
otto soli ne restar.

[...]
Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
a un pino s'impiccò,
e nessuno ne restò.

Se il testo fa anche sorridere, è sicuramente più inquietante la voce registrata che, non appena i dieci invitati si riuniscono, li accusa uno dopo l’altro di essersi macchiati di crimini rimasti impuniti (siano state esse morti accidentali, istigazioni al suicidio o veri e propri delitti). A sconvolgere i dieci protagonisti è proprio il fatto che sia davvero così.
Se questo da sé poteva bastare per rendere la vacanza un incubo, la situazione peggiora quando i protagonisti iniziano ad essere uccisi l’uno dopo l’altro.
Convinti che un killer si nasconda nell’ombra i protagonisti si rendono conto di una ben più inquietante verità: sull’isola divenuta inarrivabile dall’esterno non c’è nessuno oltre a loro, quindi questo significa che a commettere gli omicidi è uno di loro.
In una situazione in cui la tensione cresce ora dopo ora, si ritrovano tutti a sospettare di tutti, fino a un finale che si rivela un vero colpo di scena.

I personaggi
“Dieci piccoli indiani” fa parte della minoranza dei romanzi scritti da Agatha Christie in cui non compare un personaggio ricorrente. Forse è proprio questo a permettere una maggiore caratterizzazione dei personaggi che compaiono: non avviene per tutti, in quanto alcuni passano un po’ inosservati in attesa che sia il loro turno per “uscire di scena”, ma di molti di essi intravediamo i pensieri tra le righe. L’alternarsi di punti di vista ci permette di conoscere i personaggi che vediamo talvolta più riflettere che agire, e specie di chi ha avuto una storia più intricata alle spalle veniamo a scoprire molte cose.
Il personaggio più approfondito è sicuramente quello di Vera Claythorne, forse il più controverso e inquietante, che troviamo dalle prime pagine fino alle ultime.

Testo e struttura
Il testo è fluido, con una suddivisione in capitoli coerente. L’enigma cresce pagina dopo pagina, portando il lettore a interrogarsi su quale sia la soluzione al mistero che viene presentato.
A questo si accompagna un livello di tensione sempre percepibile, ma che non prende mai il sopravvento sull’enigma in attesa di risposte.

Valutazione finale: 5/5
Seppure il giallo sia sempre stato ritenuto un genere “commerciale”, la prima impressione è che in “Dieci piccoli indiani” ci sia qualcosa di più.
Quello intorno al quale si svolge la storia è un enigma costruito ottimamente, che coinvolge il lettore dalla prima fino all’ultima pagina, e nel quale ogni possibile indizio è visibile a posteriori, ma non appare agli occhi di chi si accinge a lettere il testo per la prima volta.



Recensione scritta per il Corriere della Notte numero 10, del forum Scrittori della Notte.

martedì 16 luglio 2013

Recensione: "MILLENNIUM TRILOGY" di Stieg Larsson

La trilogia svedese Millennium di Stieg Larsson, è uscita in lingua originale tra il 2005 e il 2007. I tre romanzi che la compongono sono:
1) Män som hatar kvinnor (2005), uscito in Italia con il titolo Uomini che odiano le donne;
2) Flickan Som Lekte Med Elden (2006), il cui titolo italiano è La bambina che giocava con il fuoco;
3) Luftslottet Som Sprängdes (2007), pubblicato in Italia come La regina dei castelli di carta.


Si tratta di una serie di thriller che si è rivelata un successo editoriale internazionale, successo incrementato anche dalle trasposizioni cinematografiche (sia una versione svedese, con la produzione dei tre film relativi ai tre romanzi, sia una versione americana di cui è uscito il film legato al primo romanzo) che a detta di molti più che rendere onore ai romanzi ne danneggiano la reputazione per chi ha visto i film senza prima leggerli.

La serie
Il primo romanzo costituisce un episodio che, seppure abbia delle connessioni con quanto accade dopo, non è strettamente legato, in termini di eventi, al secondo e al terzo. Questi ultimi due, invece, sono uno la conseguenza dell’altro e, seppure i temi trattati non siano esattamente gli stessi (il secondo romanzo si avvicina a un giallo, il secondo tratta prevalentemente di spionaggio), si può dire che “La regina dei castelli di carta” inizi laddove termina “La bambina che giocava con il fuoco”.
Era intenzione dell’autore scrivere una serie di dieci romanzi, ma dopo la sua morte avvenuta per un infarto mentre si trovava nella redazione del giornale per cui lavorava – stessa sorte che, ironicamente, aveva riservato a un personaggio secondario della serie – anche il quarto romanzo, già in gran parte abbozzato, è stato destinato a rimanere inedito a causa di una controversia legale tra il padre di Larsson, erede dei diritti sulla serie, e la compagna dell’autore che pare averlo aiutato durante la stesura dei romanzi ma che non ha potuto completare il quarto romanzo e pubblicarlo in quanto non ha ereditato alcun diritto sulla serie in quanto lei e Larsson non erano legalmente sposati.

La trama
Nella sua prima apparizione, in “Uomini che odiano le donne”, Mikael Blomkvist è un giornalista che si ritrova nei guai con la legge quando viene accusato di diffamazione, ingaggiato da un uomo ormai anziano che da decenni non ha notizie di una sua nipote scomparsa nel nulla che ogni anno, dal giorno della sua scomparsa, riceve un piccolo regalo, anonimo, per il proprio compleanno. Convinto che ciò sia legato alla scomparsa di sua nipote, che sospetta essere stata assassinata, chiede a Mikael di scoprire, dandogli come tempo massimo un anno, che cosa ne sia stato di lei. In cambio gli offrirà le prove per essere scagionato dalle accuse di diffamazione, in quanto con esse potrebbe dimostrare che, quando ha precedentemente pubblicato, era vero.
Mikael accetta l’incarico, iniziando a fare indagini sul passato della ragazza scomparsa basandosi sui pochi elementi che ha in mano, elementi che sembrano condurre a numerosi delitti irrisolti in cui le vittime erano donne. Riuscirà a portare a termine il proprio compito grazie all’aiuto di Lisbeth Salander, una ragazza affetta da disturbi psichici che si rivela un’ottima hacker.
Il personaggio di Lisbeth, già co-protagonista del primo romanzo, assume un’importanza ancora maggiore nel secondo e nel terzo romanzo della serie, che ruotano intorno a lei dall’inizio alla fine. In “La bambina che giocava con il fuoco” Lisbeth si ritrova ad essere accusata di un delitto che non ha commesso, in cui tutte le prove sembrano portare a lei. Come se non bastasse i fantasmi del suo passato tornano alla luce e, oltre ad essere legalmente ricercata, c’è qualcuno di ancora più pericoloso che certa Lisbeth, nei confronti del quale lei ha un forte desiderio di vendetta. Se la caverà grazie all’aiuto di Mikael, nonostante si fosse posta come obiettivo quella di chiudere ogni contatto con l’amico, “colpevole” di non ricambiare i sentimenti che Lisbeth provava nei suoi confronti.
“La regina dei castelli di carta” inizia esattamente dove finisce il secondo romanzo della serie. In quest’ultimo Lisbeth, rimasta gravemente ferita, è in ospedale e lotta tra la vita e la morte; quando riaprirà gli occhi, inoltre, dovrà rispondere delle accuse di cui sopra e affrontare nuovamente il proprio passato, in cui fu fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico. Sarà ancora una volta Mikael ad aiutarla, insieme alla sorella Annika, avvocato civilista che, in via del tutto eccezionale, accetta la richiesta del fratello di rappresentare Lisbeth in tribunale nonostante le cause penali non siano il suo ramo. In questa impresa sarà evidente che il ricovero di Lisbeth in clinica faceva comodo a persone che avevano una certa importanza nell’ambito dello spionaggio internazionale...

I personaggi
I personaggi principali della serie sono Mikael e Lisbeth, i loro punti di vista si alternano a intervalli irregolari e talvolta vi sono intermezzi in cui il punto di vista utilizzato dall’autore è quello di altri personaggi. È inevitabile che, visto l’enorme spazio che è dato a Mikael e Lisbeth (centinaia e centinaia di pagine per ciascuno dei tre romanzi) il lettore venga a sapere molte cose su di loro.
A mio avviso entrambi i protagonisti sono ben caratterizzati, ma è Lisbeth a risultare maggiormente interessante. Questo per due motivi: innanzi tutto perché il secondo e il terzo romanzo sono incentrati totalmente sulla giovane hacker, tanto che anche quando non è lei ad agire gli altri personaggi agiscono in funzione della vicenda legata alla ragazza stessa, ma anche perché è Lisbeth che, più di ogni altro, è in grado di evolversi pagina dopo pagina. La conosciamo come una ragazzina che ce l’ha con il mondo intero e che, seppure sia vero che ha avuto un passato difficile, tende forse troppo spesso al vittimismo; la lasciamo che è diventata donna.

Testo e struttura
Se il primo romanzo ha una trama indipendente dagli altri due, non si può dire lo stesso del secondo e del terzo: si può dire che “La ragazza che giocava con il fuoco” e “La regina dei castelli di carta” siano una vicenda unica che si suddivide in un primo e in un secondo atto. Come molte serie, quindi, ad un certo punto soffre della brusca interruzione di una vicenda ancora in corso: non dimentichiamo, infatti, che in lingua originale il secondo e il terzo volume sono usciti a un anno di distanza. Stando alle indiscrezioni il quarto romanzo avrebbe invece dovuto essere, proprio come il primo, più indipendente e probabilmente incentrato sulla figura di Camilla Salander, gemella di Lisbeth menzionata più volte, di cui non è chiaro che fine abbia fatto.
Per quanto riguarda la narrazione è spesso scorrevole, ma talvolta disorientante. Se è vero che il lettore, alla fine dei romanzi, riuscirà a comprendere il legame tra ciascun elemento, da un altro punto di vista i molteplici elementi che l’autore fa entrare in gioco lungo centinaia di pagine possono far sì che il lettore perda il filo. Per concludere, quando un puzzle ha troppe tessere alla quale non si è ancora trovata una collocazione, il rischio può essere quello di perderle per strada.

Valutazione finale: 4/5
Suspense e coinvolgimento del lettore sono garantiti, senza mai scendere troppo nel macabro (diversamente da quanto sembra avvenire invece nelle versioni cinematografiche, ritenute troppo esplicite da taluni spettatori), in tre romanzi mozzafiato di cui il secondo è probabilmente il meglio riuscito.
Tutti gli elementi vengono spiegati in maniera coerente e, se rimane qualcosa in sospeso, è solo perché purtroppo i seguiti che dovevano vedere la luce non saranno mai scritti.
È una serie consigliabile agli appassionati di thriller e di enigmi, ma non solo.



Recensione scritta per il Corriere della Notte numero 10, del forum Scrittori della Notte.

domenica 14 luglio 2013

Recensione: “IL CUSTODE DI FREYA”, Cliff McNish

È da un po’ che non ho pubblicato recensioni (anche se penso che tra poco arriveranno quelle del “Corriere” del forum Scrittori della Notte) e mi sembra che sia giunto il momento di riprendere a condividere con voi le mie impressioni sui romanzi che leggo.
Ho scelto, stavolta, di parlare del romanzo di Cliff McNish, “Il Custode di Freya”, un urban fantasy che ho letto nei giorni scorsi.
Ricordo che questa recensione può contenere eventuali spoiler e che si basa esclusivamente sul mio punto di vista.
Inizio a dire che, se avessi letto questo romanzo dieci anni fa, forse l’effetto che mi avrebbe fatto sarebbe stato diverso. Al giorno d’oggi, però, ho avuto certe impressioni e penso di doverle condividere.

Prima impressione e copertina
Devo dire che il titolo non mi ha colpita granché, ho deciso di leggere questo romanzo più che altro perché ce l’avevo a disposizione e non sapevo che cosa leggere.
La copertina dell’edizione italiana, inoltre, non mi sembra così tanto connessa con quello che effettivamente succede nel romanzo: si vede una ragazza camminare in un vicolo fatiscente... e non è esattamente ciò di cui parlerà il romanzo.

La trama
Freya ha 14 anni e ne ha trascorso gli ultimi sei tra un ricovero in ospedale e l’altro: fin da piccola, infatti, è stata ossessionata dagli angeli, fin da quando uno di loro è entrato nella sua stanza sconvolgendole l’esistenza.
Proprio quando la sua ossessione per gli angeli sembra essere passata si ritrova a tu per tu con una nuova compagna di classe, la quale è fissata con gli angeli quasi quanto lei, pur non avendone incontrato uno. Intanto Freya inizia ad essere tormentata dalla visione di un orribile angelo nero...
La sua vita cambia radicalmente quando rincontra Hestron, l’angelo che vide quando era bambina, e quando anche Mestraal, l’angelo nero, le parla... I due, infatti, le rivelano che lei è in parte umana e in parte angelo, e che se lo vorrà potrà divenire un angelo a tutti gli effetti.

Punti di perplessità
ANGELI?! - Penso che ormai lo sappiate: non ho certe fissazioni. Le creature non umane, nei romanzi fantasy, possono essere interpretate nel modo preferito dall’autore. Però che delle creature mortali e venute dallo spazio, che hanno deciso di fermarsi sulla terra per assistere gli umani, condizionandone il libero arbitrio, vengano spacciate per angeli... beh, mi suscita certe perplessità.
ASSENZA DI SPIEGAZIONI - Se da un lato viene spiegato che gli “angeli” sono arrivati sulla Terra perché mentre erano di passaggio hanno pensato bene di fermarsi e di dare assistenza agli umani che hanno incontrato, dall’altro viene liquidata in tre parole la faccenda della natura mezza umana-mezza angelo di Freya, in un modo che suona molto “è fantasy, che bisogno c’è di dare una spiegazione sensata?”, quando avrebbe potuto essere mooooolto utile: se gli angeli non vengono dalla Terra, com’è possibile che una terrestre sia mezza angelo? L’autore avrebbe potuto escogitare lo stratagemma di una madre angelo in incognito (specie tenendo conto che la madre era morta da anni), ma ha preferito non dare spiegazioni... e l’assenza di spiegazioni, sinceramente, mi urta abbastanza.
ESASPERAZIONE DEGLI STEREOTIPI DA TEEN-TRAMA - Per favore, bastaaaaaaaa! Avere i capelli tinti e/o decolorati non significa essere una stronza a cui tutta la scuola sta dietro seppure si tratti di una stronza. E non è nemmeno una vergogna dalla quale sia necessario difendersi a tutti i costi. Seppure detesto lo shopping, neppure amare lo shopping è segno di essere stronza. E soprattutto non c’è niente di più irrealistico del modo in cui è trattato l’arrivo di Stephanie (A.K.A. la ragazza fissata con gli angeli): seppure da un lato è plausibile che ALCUNE persone prendano di mira una perfetta sconosciuta per il cappotto antiquato che indossa e perché viene accompagnata a scuola dalla madre, ma che IMPROVVISAMENTE tutta la scuola prenda di mira, da un giorno all’altro, la stessa persona, non mi sembra poi così tanto credibile... anche perché mi sembra impossibile che, a causa di un cappotto, TUTTA la scuola da un giorno all’altro si ricordi di una certa persona.

I personaggi
Freya è la versione più giovane di Bella Swan a mio avviso una Mary Sue a tutti gli effetti, per la precisione una di quelle Mary Sue lamentose che non fanno altro che lamentarsi che il mondo è contro di loro, che tutto quello che fanno va a finire male e che si piangono addosso per i loro difetti dalla mattina alla sera. A questo si aggiunge che non ha un minimo di carattere: quello che fa, per buona parte del romanzo, lo fa in funzione di quello che dice Amy, la sua amica dai capelli tinti e amante dello shopping, quindi di conseguenza stronza; da quel punto in poi tutto quello che fa avviene in funzione degli angeli.
Questi ultimi non mi sembrano particolarmente caratterizzati, in particolare l’“angelo nero”, quello che doveva essere l’antagonista, si converte al bene in un nanosecondo dopo avere conosciuto seriamente la protagonista, senza un motivo ben preciso.
Stephanie, che avrebbe potuto apparire come un personaggio interessante all’inizio, finisce per sembrare alla fine una pazza. La sua amicizia con Freya, inoltre, mi sembra sbocciare in modo piuttosto irrealistico. Sembra che a Freya basti che una persona non stia simpatica a Amy (dopo che abbandona il suo gruppo) per diventare sua amica.
Di fatto i personaggi non li ho apprezzati particolarmente, e di questo mi dispiace, perché se fossero stati un po’ più caratterizzati avrebbero potuto non essere poi così male...

Struttura
Il romanzo è narrato in terza persona, saltando da un punto di vista all’altro. Questo potrebbe essere un espediente interessante per far conoscere al lettore anche fatti estranei a quanto accade alla protagonista, ovvero Freya.
Il problema che si pone, però, è che il punto di vista talvolta salta da un personaggio all’altro da una frase all’altra, confondendo le idee più che chiarirle.

Valutazione finale: 2/5
Trama non particolarmente estrosa, personaggi piatti, stereotipi, incapacità di emozionare, finale banale... Gli elementi per questa valutazione credo che ci siano tutti. Peccato, perché speravo in qualcosa che mi soddisfacesse di più.