mercoledì 26 febbraio 2014

Recensione: "STANGERS" di Dean Koontz

Ho divorato 650 pagine in tre giorni, come mi capita alcune volte, ma come spesso non mi capita. La lettura in questione è stata “Strangers”, thriller a sfondo fantascientifico di Dean Koontz (autore di cui avevo già letto qualcosa, ma parecchio tempo fa) pubblicato a metà degli anni ’80.

La trama
Siamo negli Stati Uniti degli anni ’80, dove in luoghi del tutto diversi l’uno dall’altro si sviluppano le storie di personaggi molto diversi gli uni dagli altri.
C’è Dom, scrittore 35enne che, di punto in bianco, inizia ad avere attacchi di panico e a soffrire di sonnambulismo, che ritiene connessi a qualcosa che, di punto in bianco, due anni prima murò radicalmente la sua personalità. C’è Ginger, giovane chirurga che crede di essere diventata pazza in quanto la vista di certi oggetti le fa perdere ogni contatto con la realtà. C’è Brendan, prete di campagna che, all’improvviso, ha perso la fede. C’è Joria, giovane madre divorziata, sconcertata dall’ossessione della figlioletta per la luna. C’è Jack, rapinatore professionista, animato da un desiderio di vendetta nei confronti dello stato dal quale si ritiene tradito. E poi ci sono Envie, ex militare terrorizzato dal buio, e sua moglie Faye, titolari del Motel Tranquillity, in un luogo sperduto del Nevada, e i loro dipendenti Ned e Sandy.
Queste persone non potrebbero essere più diverse tra di loro, ma hanno qualcosa in comune: nell’estate i due anni prima si trovavano al Motel Tranquillity (che nel tratto centrale mi ha ricordato un po’ l’Hotel California della canzone degli Eagles), hanno ricordi solo frammentari di quella vacanza e la maggior parte di loro ha subito un radicale cambiamento, in genere trovandosi affetto da una fobia o da un’ossessione.
A peggiorare la situazione anche altre persone che si sono trovate lì in quel periodo sembrano avere qualche effetto collaterale: un giocatore d’azzardo professionista ossessionato dalla luna si suicida, l’ex marito di Joria idem, un camionista semina panico nel vicinato sostenendo che il mondo è in pericolo e sequestra i propri dirimpettai...
E poi tutti si ritrovano “spinti” verso il Motel Tranquillity, dove iniziano a ricostruire l’accaduto: devono avere visto qualcosa che non dovevano vedere e qualcuno che sta molto in alto deve avere deciso di eliminare i loro ricordi affinché un importante segreto non venga rivelato... Loro, però, hanno deciso, il mondo deve sapere, e sono dello stesso parere anche padre Stefan, maestro spirituale di Brendan, e Parker, artista amico di Dom, che si ritrovano coinvolti nella vicenda.

Struttura
Il romanzo è diviso in tre parti, la prima in cui i protagonisti vivono le proprie vite in luoghi molto diversi gli uni dagli altri, la seconda in cui finiscono per ritrovarsi nell’albergo, la terza in cui mettono in atto il proprio piano.
Il testo è narrato in terza persona, esplorando il punto di vista di tutti i protagonisti e, da un certo punto in poi, anche degli antagonisti. Questo, però, senza rivelare troppo e lasciando aperti tutti gli interrogativi fino alla fine (anche se, per certi versi, appena superata la metà del romanzo avevo già capito – ATTENZIONE, SPOILER! – che c’entravano qualcosa gli alieni).
Attraverso il continuo susseguirsi di diversi punti di vista, i personaggi sono ben delineati, anche quelli lasciati talvolta un po’ in secondo piano (fatta eccezione, a mio parere, per Joria e Sandy che, più che altro, sono trattati un po’ come personaggi di contorno).

Valutazione finale: 4,5/5
Ho apprezzato molto questo romanzo, ma ho trovato un po’ di difficoltà ad attribuirvi una valutazione ben precisa. Diciamocelo chiaramente: non sono una grande conoscitrice del genere fantascientifico e, in generale, tra le mie letture fantascientifiche c’è un tipo di fantascienza molto diversa (per intenderci: “1984” di Orwell è fantascienza, e finora di fantascienza conosco più che altro quella), perciò non saprei dire se questo romanzo sia inferiore o superiore agli standard. Io, però, ne sono stata soddisfatta e, una volta terminata la lettura, non ho provato quel senso di delusione che ho provato leggendo altri romanzi.
Secondo me è un romanzo che potrebbe piacere a tutti gli amanti del thriller, anche quelli che (come me) non amano molto le scene macabre: le scene difficilmente digeribili nel romanzo sono veramente poche e mai descritte nel dettaglio.

venerdì 21 febbraio 2014

Recensione: "La lettrice bugiarda" di Brunonia Barry

E' già passato un po' dall'ultima recensione che ho pubblicato e oggi è giunto il momento di Brunonia Barry e del suo romanzo "La lettrice bugiarda", ambientato a metà degli anni '90, pubblicato in lingua originale nel 2006 e arrivato in Italia una manciata di anni più tardi.

Quarta di copertina
È estate e l’oceano ruggisce al largo della città di Salem. Towner Whitney è tornata dove tutto è cominciato. Il tempo pare essersi fermato. La grande casa segnata dalla salsedine è avvolta dal silenzio. Eppure a Towner sembra ancora di vedere la sua gemella Lindley mentre, con lei, ride e legge il futuro secondo un’antica arte trasmessa di madre in figlia tra le strane donne della famiglia Whitney. Towner era fuggita da tutto ciò, prigioniera del senso di colpa e della follia. Perché l'ultima volta che aveva previsto il futuro, Lindley era morta. Sono passati quindici anni. Ma la scomparsa dell’amata zia Eva la costringe a fare ritorno, a ripercorrere quella strada troppe volte dimenticata. Per ritrovarla, Towner non ha altra scelta: deve affrontare il segreto che la lega indissolubilmente a Lindley. Un segreto che affonda le radici in un passato inconfessabile che molti, nel clan Whitney e nella chiusa comunità di Salem, hanno cercato di rimuovere. Dalla madre di Towner, May, una donna dura e solitaria, che vive su un’isola sperduta, alla fragile Emma, marchiata da una ferita indelebile, alle eclettiche signore con il cappello rosso, fino a Cal, un ambiguo predicatore. Quando il corpo di Eva viene restituito dalle onde e un’altra ragazza scompare, Towner capisce di essere precipitata di nuovo nell’incubo di quella calda estate di quindici anni prima. Circondata dalle chiacchiere e dai sospetti, non può fare affidamento che su sé stessa. Ora più che mai tutto dipende da lei. È questa l’eredità che Eva le ha lasciato: scrutare il futuro e distinguere vero e falso, odio e amore, realtà e sogno. Solo allora il velo che offusca il suo destino finalmente si solleverà. Un libro dalla storia unica. Stampato in proprio dall’autrice, in due settimane è andato esaurito solo grazie al passaparola dei lettori. Ora, pubblicato da una delle più importanti case editrici americane, è un assoluto bestseller. La lettrice bugiarda è una storia di abbandono e redenzione, di bugie e tradimenti, dove i misteri e i segreti si dipanano pagina dopo pagina fino a dare un nuovo significato alla parola verità.

La trama, bene o male, ruota intorno al "segreto" delle due gemelle e alle vicende che coinvolgono Towner: torna per la scomparsa di un'anziana parente acquisita, che si scopre essere affogata; torna mentre Cal, suo zio nonché padre adottivo di Lindley, con un passato non proprio limpido tra le mura domestiche, si è trasformato in un predicatore che dà la caccia alle streghe e che sembra implicato nella morte di Eva e nella scomparsa di un'adolescente incinta con la quale ha avuto una relazione.
Al presente si intreccia il passato di Towner e Lindley, ricostruito tramite il diario che Towner scrisse quindici anni prima, durante il ricovero in un ospedale psichiatrico...

Struttura del romanzo
Questo è, a mio avviso, il punto dolente: i capitoli in cui è Towner la protagonista (non solo quelli del diario) sono narrati in prima persona, quelli in cui viene utilizzato il punto di vista di un altro personaggio - anche con Towner presente - sono in terza persona. Questo rende la lettura decisamente confusionaria, ben poco lineare e spesso rimanevo abbastanza spiazzata quando si passava da una modalità all'altra.

Ciò che non mi ha convinta
Dell'alternanza prima e terza persona gestita in modo così caotico ho già detto tutto ciò che dovevo dire. Veniamo quindi al resto.
I PERSONAGGI: intorno alla vita di Towner ruotano vari personaggi di cui solo pochi sono abbastanza caratterizzati, ma anche quelli appartenenti a quest'ultima categoria vengono messi da parte all'improvviso, senza dare una vera e propria conclusione alle loro vicende (è il caso dell'agente incaricato delle indagini, con cui Towner avrà una breve relazione a mio parere abbastanza improbabile, che viene tutt'altro che approfondita).
LA QUESTIONE DELLA STREGONERIA: Towner sembra discendere da una famiglia di streghe che leggono il futuro nei centrini di pizzo. Al di là dell'idea abbastanza originale, non mi sembra di vedere un vero e proprio approfondimento sulla questione: si dice che le streghe non c'erano nei secoli della caccia alle streghe e che esistono al giorno d'oggi, ma null'altro, come se fossero comparse magicamente dal nulla. Poi non si capisce bene se siano davvero streghe o se siano semplicemente convinte di esserlo...
IL FINALE: siamo di fronte a uno di quei casi in cui all'ultimo capitolo c'è una spiazzante rivelazione che suona un po' come "il 90% di quello che hai letto era la narrazione di un trip mentale di un personaggio mentalmente instabile", il che è una cosa che generalmente non sopporto.

Valutazione finale: 3,5/5
E' stata una buona lettura, coinvolgente tranne che per l'inizio a mio avviso troppo lento, ma ha comunque qualche pecca di troppo e non mi ha convinta a pieno.

lunedì 17 febbraio 2014

C'era una volta Rainbow...

Sono passati quasi due anni (anzi, no, non esageriamo: un anno e otto mesi) da quando nella mia mente Rainbow ha preso vita.
Rainbow è un'auto e, in quel periodo, le alternative erano Dalia, Sunshine, Mistress e Rainbow. Alla fine, per un motivo o per l'altro, ho mandato quei nomi in pensione, anche se effettivamente Mistress mi intriga parecchio. Dalia, invece, al giorno d'oggi è la protagonista femminile e umana delle vicende.

Forse è il caso di spiegare un po' meglio com'è la situazione. All'epoca non avevo ancora aperto questo blog, perciò ne avevo parlato su un blog dove scrivevo un po' di tutto (e dove, chissà, forse un giorno riprenderò a scrivere di tutto).
Al giorno d'oggi ho un blog che parla di lettura e scrittura, perciò tanto vale parlarne qui. Rainbow è un'auto dotata di mente pensante o comunque che ha qualcosa di diverso dalle auto che conosciamo al giorno d'oggi. E' anche vero che vive in un mondo leggermente diverso dal nostro.

La novità è che Rainbow, troppo a lungo accantonata, è tornata in vita. E' tornata in vita anche Dalia, anche se la trama che avevo in mente va a riprendere un mio vecchio racconto, oltre che la mia idea di due anni fa, che comunque sarà modificata piuttosto radicalmente.

Non è l'unico progetto a cui sto lavorando, ma è l'unico di cui mi va di parlare stasera...

martedì 11 febbraio 2014

RECENSIONE: "Il creatore delle ombre" di Kevin Guilfoile

Oggi vi intrattengo(?) con la recensione di un thriller che ho letto in questi ultimi giorni.
E' stato pubblicato nel 2005 e sono lieta di comunicarvi che non ho la più pallida idea di chi sia l'autore.

Quarta di copertina
Sai giocare con la vita? In una Chicago in cui le pratiche avanzate contro la sterilità non sono illecite e i programmi virtuali sono più eccitanti di Matrix, il dottor Davis Moore è devastato da un lutto atroce: la sua Anna Kat, di soli diciassette anni, viene ritrovata stuprata e uccisa. Tre anni dopo il caso è archiviato tra i non risolti e il padre riceve per sbaglio, assieme agli altri effetti della vittima, anche campioni biologici dell'aggressore. Fin dove si può arrivare per vedere in faccia l'assassino della propria figlia? Moore non esita a ricavarne l'impronta genetica e a impiantare un clone in una delle aspiranti madri in lista d'attesa nella clinica che dirige. E' per questo che nasce Justin Finn. Perché abbia il DNA dell'omicida. Il volto dell'omicida. Forse, anche i suoi istinti. Il dottore si pente ben presto del suo gesto, ma Justin ha già un passato più grande di lui. Quando ne compie quindici, un serial killer terrorizza la città violentando e uccidendo, e le sue imprese sono replicate sul Web dalle Ombre, il videogioco interattivo del momento. Chi è il mostro? Justin lo sa. Perché lui solo ha già visto come andrà a finire tutto quanto. Una trama mozzafiato in cui eredità di illustri precedenti - da King a Crichton - sono stravolte e rimescolate in maniera inedita con picchi di tensione spettacolare; un romanzo ricco di spunti etici profondi e oltremodo attuali, che sa incantare il lettore e stupirlo con un finale assolutamente imprevedibile.

La trama è ben introdotta da questa descrizione. Il romanzo inizia in modo molto lineare, con stacchi temporali ogni qualche capitolo, in modo da poter vedere Justin che nasce, Justin che cresce e Justin che diventa adolescente. Questo, per quanto riguarda la prima parte.
La seconda, ambientata quando Justin ha 15-16 anni, si concentra prevalentemente sull'intreccio relativo al killer, con Justin finalmente in un ruolo centrale, piuttosto che di contorno. Perché Justin conosce l'uomo il cui DNA fu trovato sul corpo di Anna Kat: è stato uno spasimante di sua madre, che l'ha aggredita davanti ai suoi occhi, ed è convinto che sia lui il killer.
Collaborano con Justin, più per senso del dovere che per vero desiderio di aiutarlo, la giornalista Sally, che da sempre si fa fantasie mentali su una versione adulta di Justin, e proprio il dottor Moore, che ancora prima della morte della figlia sopravvisse a un attentato da parte di un fanatico religioso, la cui storia, di tanto in tanto, viene portata avanti in qualche capitolo.

Struttura del romanzo
C'è una prima parte, come ho detto, dove i protagonisti sono più che altro adulti che, per un motivo o per l'altro, ruotano intorno a Justin. C'è una seconda parte in cui invece è Justin uno dei protagonisti.
I capitoli sono narrati in terza persona, con vari punti di vista... a volte saltando da un punto di vista all'altro tra le righe, il che a volte l'ho trovato un po' confusionario.

Ciò che non mi ha convinta
Nella seconda parte del romanzo viene dedicato troppo spazio al videogioco (una simulazione di vita reale) e non viene mai spiegato fino in fondo come i reati commessi nel videogioco in questione debbano essere riproposti anche nella vita reale. Credo che l'autore abbia voluto fare un paragone con la clonazione, "clonando" la vita reale in un videogioco. A mio parere questo rende abbastanza inverosimile la trama: Justin e Sally scoprono l'autore di una serie di omicidi smanettando davanti al computer.
Già a metà del romanzo sappiamo chi è il colpevole, o almeno abbiamo buoni indizi su chi sia. Possiamo aspettarci delle sorprese, è vero, ma queste le ho trovate alquanto prevedibili. Quando muore Deirdre, tra l'altro, a mio parere si capisce perfettamente chi è il colpevole di quest'ultimo omicidio.
La "condanna a morte" inscenata, dove perde la vita un certo personaggio, è un passaggio che personalmente ho trovato piuttosto agghiacciante, specie per la freddezza con cui opera chi sta agendo... un personaggio da cui una tale freddezza era un po' fuori luogo.
Tornando all'omicidio di Anna Kat che, si scoprirà, non ha nulla a che vedere con quello del killer, l'autore ha optato per la soluzione che in un giallo non si dovrebbe mai scegliere: "non importa se ****** compare tre volte in totale in 460 pagine, facciamo che l'assassino è lui perché, dato che il suo ruolo nella trama è pressoché nullo, nessuno se lo aspettava".
Il romanzo, poi, termina con [ATTENZIONE, SPOILER!] un criminale condannato per un reato che non ha commesso, la mancanza di una vera certezza che abbia commesso altri reati (l'unica prova che abbiamo è che ha finto di commettere dei reati giocando a un videogioco online) e il dottor Moore destinato a non scoprire mai che il DNA trovato sul corpo di Anna Kat non era altro che quello del suo fidanzato, che nulla aveva a che vedere con l'omicidio.

Valutazione: 3,5/5
L'ho trovato un romanzo avvincente ma, come già mi è accaduto leggendo altri thriller, mi ha lasciato un po' delusa quando ho terminato la lettura.

sabato 8 febbraio 2014

RECENSIONE: "Assassinio sull'Orient Express" di Agatha Christie

La prima volta che lessi “Assassinio sull’Orient Express”, romanzo di Agatha Christie scritto nel 1933, avevo 12 anni. Mi parve un capolavoro e per molti anni non mi ha sorpreso affatto che questo sia considerato uno dei migliori romanzi della zia Agatha. Devo ammettere, però, che rileggendolo adesso mi ha fatto un effetto un po’ diverso. Non voglio assolutamente sminuirlo: si tratta sicuramente di uno dei suoi romanzi in cui la soluzione è più originale, ma a mio parere, nella mia classifica personale, sta indubbiamente dietro a “Dieci piccoli indiani” e “L’assassinio di Roger Ackroid”... e forse quest’ultimo lo metterei al primo posto in assoluto. Ma prima di giungere a questa conclusione intendo rileggerlo...

Si tratta di uno dei tanti romanzi che hanno per protagonista il celebre detective belga Hercule Poirot, sulla cui età c’è qualche mistero (quando giunse in Inghilterra come profugo durante la prima guerra mondiale era già anziano, ma nonostante ciò cinquant’anni più tardi risolveva ancora dei casi), che per una volta passa meno tempo del solito a vantarsi di quanto siano belli i suoi baffi e, ancora più strano, non fa alcun accenno alle sue “celluline grigie”.
Comunque, come da tradizione, ogni luogo in cui vada c’è un morto... e stavolta il morto è in un vagone letto dell’Orient Express.

La trama
In pieno inverno, in via del tutto eccezionale, uno dei vagoni dell’Orient Express è stato prenotato al completo. È proprio su quel treno che si trova a viaggiare Poirot, in uno scompartimento che era stato prenotato da un tale che non si è presentato. Nella stanza attigua alla sua dorme un anziano americano, Samuel Ratchett, che lascia intendere, nella breve conversazione che ha con Poirot all’inizio del romanzo, di avere ricevuto minacce di morte.
E infatti, in una notte in cui il treno rimane bloccato a causa del maltempo, Ratchett viene ucciso con 12 coltellate. Sulla scena del delitto si trovano un fazzoletto da donna e un aggeggio per pulire le pipe. Sul treno soltanto due persone sembrano conoscerlo: si tratta del suo segretario e del suo maggiordomo, entrambi al corrente del fatto che l’uomo si sentisse minacciato. Il capotreno incarica Poirot e un medico che viaggia su un altro scompartimento di indagare sul conto della vittima. Poirot, trovando i resti di una lettera bruciata, scopre che Ratchett in realtà era un malvivente americano sotto falso nome, colpevole del rapimento e dell’uccisione di una bambina, delitto che provocò anche altre morti (i genitori si ammalarono e morirono, la baby-sitter, inizialmente sospettata, seppure innocente, dell’omicidio, si suicidò...) e che scosse l’opinione pubblica.
Gli altri viaggiatori presenti sul treno sono i seguenti:
- un’americana anziana e chiacchierona, che sostiene di essere stata, in qualche modo, testimone della fuga dell’assassino e che trova l’arma del delitto;
- una nobile russa piuttosto snob accompagnata da una cameriera in là con gli anni e piuttosto svampita;
- un militare inglese di mezza età che ha vissuto in India per molti anni, che tra l’altro è l’unico, sul treno, a fumare la pipa;
- un’insegnante inglese piuttosto fredda e razionale;
- un nobile ungherese e la sua giovanissima moglie;
- un’infermiera olandese con il classico stile da vecchia zitella;
- un italiano piuttosto rozzo di età imprecisata;
- un detective americano che sostiene di essere stato ingaggiato come bodyguard da Ratchett.
Poirot si occupa quindi delle indagini, interrogando tutti i viaggiatori e l’inserviente francese che lavora sul treno, scoprendo che più di uno, tra i presenti, erano al corrente della vera identità di Ratchett e che nessuno sembra essere particolarmente affranto dalla sua morte...

Struttura
Il romanzo è diviso in tre parti:
- una prima parte dedicata all’introduzione dei personaggi, al delitto e alle prime considerazioni sul delitto;
- una seconda parte dedicata alle deposizioni di ciascuno dei personaggi;
- una terza parte dedicata alle scoperte sul caso e alla soluzione, che viene esposta da Poirot, come sempre accade, a un raduno a cui sono invitati tutti i sospettati.
Il romanzo è narrato in terza persona e a tratti il narratore sembra quasi onnisciente, anche se ovviamente non al punto tale da lasciare in giro degli indizi.
La narrazione, a mio parere, è piuttosto fluida e scorrevole tanto che, come ho già detto, ho letto questo romanzo per la prima volta quando ero alle medie e non ho avuto difficoltà.
Certi personaggi sono piuttosto caratterizzati, mentre altri non tanto, anche perché rimangono abbastanza in disparte, seppure centrali per la trama.

Valutazione finale: 4,5/5
Non gli do il massimo, perché l’ho trovato, specie per quanto riguarda la scena del delitto, piuttosto teatrale e pomposo. Certo, si scoprirà che era intenzione di chi ha commettere l’omicidio quella di realizzare qualcosa di teatrale e pomposo, ma a mio parere in certi tratti lo è un po’ troppo.
Quello che ho apprezzato più di ogni altra cosa è il finale e quindi la soluzione: a mio parere è una delle soluzioni più originali che io abbia mai letto in un giallo.


giovedì 6 febbraio 2014

Recensione: la serie Leviathan di Scott Westerfeld (#1 Leviathan, #2 Behemoth; #3 Goliath)

È giunto il momento di parlare di una lettura a cui mi sono dedicata negli ultimi tempi. Si tratta della trilogia “Leviathan” di Scott Westerfeld, che ho trovato nella biblioteca del mio paese in volume unico e che ho preso in prestito più o meno due settimane fa.
Risale più o meno al periodo 2009-2010 (non ricordo l’anno esatto) ed è così composta:
1) Leviathan;
2) Behemoth;
3) Goliath.


Iniziamo dalla trama riportata sulla quarta di copertina.

Sarajevo, 1914: dopo l’attentato all’arciduca d’Austria scoppia la prima guerra mondiale. Ma se a combattersi fossero bestie e macchine? Allora sareste nel mondo di “Leviathan”, “Behemoth” e “Goliath”. Sareste nel mondo di Alek e Deryn.
È come una guerra tra universi differenti. Da una parte, le potenze Cigolanti e le loro macchine. Dall’altra, gli alleati Darwinisti e le loro creature di sintesi. Carburante contro cibo, metallo contro pelle. Alek contro Deryn.
Aleksander è il figlio dell’arciduca assassinato, in fuga da un impero di cui nessuno lo vuole erede. Deryn è una ragazza arruolata in vesti maschili nell’aviazione britannica, decisa a vivere come vuole. Si incontrano per caso ma si alleano per scelta e affrontano il conflitto insieme, da Istanbul a New York, tra battaglie aeree e rivoluzioni, Alek e Deryn impareranno che cosa sono il caos e l’odio, ma anche l’amicizia e la speranza, forse addirittura l’amore.
In una trilogia steampunk che incalza il lettore con colpi di scena e scontri all’ultimo sangue, Scott Westerfeld ci regala un viaggio appassionante nelle infinite possibilità della storia: che sia quella del mondo o di ciascuno di noi.

Non credo che ci sia molto altro da dire. Viviamo in un mondo che nulla ha a che vedere con il vero mondo di un secolo fa.
Alek è l’erede al trono dell’impero austro-ungarico, ma preferirebbe non esserlo piuttosto che essere inseguito da chi lo vuole eliminare. Deryn/Dylan è una ragazzina che non ha alcuna intenzione di dedicarsi alle faccende domestiche e che si arruola nell’aviazione. I due s’incontrano, diventano amici, partecipano in prima persona a eventi storici e cercano di proteggersi a vicenda, in certi momenti. Grazie al cielo almeno non sono loro a salvare il mondo.
Accanto a loro ci sono anche altri personaggi “minori” e qualche animale creato in laboratorio. I personaggi mi sembrano comunque tutti abbastanza determinati.

Struttura della serie
Si tratta di tre romanzi che, a mio parere, sono tre per pure finalità commerciali. La trama del secondo inizia proprio da dove finiva il primo, la trama del terzo inizia proprio da dove finiva il secondo. Di fatto avrebbe potuto essere un romanzo solo.
Si alternano, in terza persona, quello di Alek e quello di Deryn, a intervalli regolari di due capitoli, in modo piuttosto ordinato.

Valutazione finale: 3,5/5
Se c’è una cosa che in genere non amo è la fantascienza ambientata in un passato ispirato alla realtà, ma con episodi totalmente immaginari. Questa è una delle ragioni per cui questa serie mi convince soltanto a metà. Inoltre ho avuto l'impressione che fosse troppo prolissa...
Per il resto ho apprezzato il fatto che il lato sentimentale sia mooooolto secondario (fino a metà del terzo romanzo, tra l’altro, Alek è convinto che Deryn sia un ragazzo), dando principale rilievo all’azione.