sabato 31 maggio 2014

RECENSIONE: "Il bacio d'argento" di Annette Kurtis Klause

E' passato già un po' di tempo da quando ho letto questo romanzo, ma non è mai troppo tardi per condividere con voi ciò che penso.
Stiamo parlando di un romanzo urban fantasy scritto intorno al 1990, ovvero molto prima del boom di questo genere, di cui ormai si è detto tutto e il contrario di tutto. Siamo in un contesto young adult, anche questo molto prima del boom di young adult appartenenti al genere urban fantasy.

La trama
Per prima cosa partiamo dalla quarta di copertina, che descrive in modo poco preciso e poco accurato i fatti che capiteranno nel corso del romanzo.

La tristezza di Zoe non è il solito mal di vivere dell'adolescenza: da quando sua madre si è ammalata e suo padre si e dedicato esclusivamente ad assisterla, la vita sembra improvvisamente averle tolto tutto quello che serve a essere felici. In più Lorraine, la sua migliore amica, sta per trasferirsi lontano. La solitudine, l'incomprensione e il dolore avvolgono Zoe come una nebbia, da cui lei teme di non poter più uscire; finché un incontro casuale con un giovane strano e conturbante non le instilla un'inquietudine vaga, uno struggimento insolito, come una promessa di piacere. E così Zoe prova il turbamento del primo amore, un amore che Simon, il misterioso ragazzo, sembra condividere ma anche temere. Perché Simon porta con sé la maledizione di coloro che si nutrono del sangue dei vivi: sono vampiri, vivono per la caccia, e il loro desiderio è legato alla morte della loro preda. Ma Simon vuole davvero solo il sangue di Zoe? E lei potrà mai accettare di amare qualcuno che incarna quello che lei teme di più: una vita come una malattia, una notte senza fine, e senza mai la speranza di un riposo?

Ho parlato di poca precisione, ma non sarebbe il termine corretto. Non è mancanza di precisione, ma questa quarta di copertina a mio parere è volontariamente fuorviante, perché al giorno d'oggi sono di moda gli urban fantasy in cui il fatto che un personaggio sia un vampiro è solamente un optional, per renderlo più gnokko di quanto sarebbe se non lo fosse.

"Il bacio d'argento" non è un romanzo di stalker gnokki che si nutrono di sangue e a cui tutto è concesso perché si nutrono di sangue.
Zoe è in primo luogo una ragazza depressa, Simon è in primo luogo un vampiro depresso... e il loro incontro serve per far capire a entrambi che qualcosa deve cambiare.
L'amore, però, è molto marginale e non si traduce nel "passerò la mia vita a farmi saghe mentali su quanto sia gnokko il vampiro con cui mi sono messa insieme", ma "lo amo, quindi lo aiuterò a sconfiggere chi minaccia di fargli del male. E Zoe lo aiuterà, sia in quel momento sia nel momento in cui Simon prende una decisione che, nei romanzi del giorno d'oggi, sarebbe molto impopolare.

Struttura e personaggi
Il romanzo è narrato in terza persona, alternando il punto di vista da un capitolo all'altro da Zoe a Simon. In un romanzo del giorno d'oggi ci sarebbe stata presumibilmente una prima persona alternata che mi avrebbe causato una certa orticaria, quindi sono felice che l'autrice, a suo tempo, l'abbia strutturato alla vecchia maniera.
Zoe è una ragazzina, è infantile, nei primi capitoli, ed è normale che lo sia. Cresce e matura, nel corso del romanzo, ed è normale che sia così.
Simon è un giovane tormentato, ma la ragione del suo tormento c'è e la situazione è gestita in modo molto diverso. Il fatto che sia un giovane tormentato non gli dà una giustificazione per fare qualunque cosa desideri, ma piuttosto lo porta verso uno stato di quasi-depressione a mio parere abbastanza originale in un romanzo del genere.

Valutazione finale: 4/5
"Il bacio d'argento" è un urban fantasy young adult diverso dagli altri urban fantasy young adult che ho letto, complice anche il fatto che è stato scritto in un'epoca diversa, in cui certi stereotipi tipici del genere ancora non esistevano.
Poi ho apprezzato il finale tragico, anche questo inconsueto negli urban fantasy di oggi, dove quello che conta è che trionfi l'amore eterno tra la giovane sprovveduta e il gnokko che prende decisioni al posto suo.

venerdì 30 maggio 2014

Recensione: la serie "Remember me" di Christopher Pike

La serie “Remember me” di Christopher Pike, risalente alla fine degli anni ‘80(?) è una serie urban fantasy young adult nata molto prima che questo fenomeno divenisse di portata internazionale. Dentro di me, comunque, ho avuto l’impressione che, anno ’80, ’90 o presente, non cambia molto: in certi casi, dal secondo libro in poi, si ha la netta sensazione che l’autore abbia avuto l’intenzione di allungare il brodo.

La serie è così costituita:
1) Ricordati di me;
2) La morte può attendere;
3) Ancora tra noi.

Il primo romanzo fu pubblicato, una ventina d’anni fa, da una serie per ragazzini delle scuole medie che si chiamava Junior Mondadori. Lo lessi quando ero in terza media e tra l’altro una scena mi ispirò inconsciamente quando scrissi la prima bozza di un mio racconto, diversi mesi più tardi. Ma questo è un altro discorso.
Non sapevo che facesse parte di una serie... e devo ammettere che, tutto sommato, forse stavo bene anche senza saperlo. ;-)

Trama
Shari Cooper è una 18enne straricca, che vive insieme ai genitori straricchi, al fratello diabetico ventenne e, di tanto in tanto, ad Amanda, figlia della donna delle pulizie che sembra avere un rapporto piuttosto stretto con Jimmy, fratello di Shari.
Come in ogni romanzo americano per adolescenti, tutto inizia con una festa, i cui partecipanti sono, oltre ad Amanda e Shari:
- Beth, la festeggiata;
- Jeff, il ragazzo della festeggiata;
- Jo, la migliore amica di Shari segretamente innamorata di Jeff;
- Dan, il ragazzo di Shari che ha una relazione segreta con Beth.
Giusto per chiarire: queste relazioni sentimentali che fanno tanto versione young adult di “Beautiful” non hanno NULLA a che vedere con la trama.
Alla festa decidono di organizzare una seduta spiritica per mettersi in contatto con Peter, il fratello di Jeff defunto in un incidente, che a quanto pareva era un caro amico di Shari.
Shari, pensando che tutto sia un bluff, si allontana e si rifugia da sola in balcone. Qualcuno la butta giù e lei si risveglia fantasma, senza sapere di esserlo finché non vedrà il proprio cadavere all’obitorio.
C’è chi parla di suicidio, ma lei sa benissimo di essere stata assassinata da uno dei suoi amici. Seppure non sia semplice, inizia a indagare, con l’aiuto di un altro fantasma (proprio Peter, del quale finirà per innamorarsi) e perseguitata da una strana ombra, che sembra conoscere un segreto del suo passato che lei ignora, segreto per il quale è stata uccisa.

Questo per quanto riguarda il primo romanzo: nel secondo e nel terzo Shari e Peter, non si sa bene perché, si reincarnano in una giovane coppia di latino-americani drogati, ai quali devono salvare la vita. Ci sono nuovi misteri, ma sicuramente non al livello dei precedenti. Le Ombre, inoltre, hanno un ruolo, a mio parere, molto incoerente con quello che avevano nel primo romanzo.

Struttura
I romanzi sono narrati per larga parte in prima persona (a parte quando, nel secondo, viene narrata in terza persona la storia della disadattata sociale ispanica), talvolta con un linguaggio molto semplice e forse un po’ troppo colloquiale, come se la voce narrante stesse tenendo un comizio per un pubblico di tredicenni. Il testo scorre bene, ma avrei preferito, forse, che fosse un po’ più elaborato.
I romanzi sono tutti e tre piuttosto brevi e, per quanto riguarda il secondo e il terzo... beh, forse avrei preferito se non fossero mai stati scritti!

Valutazione finale: 3/5
È una serie che vi consiglio se avete meno di 15 anni. Se ne avete qualcuno in più secondo me è già troppo tardi per apprezzarla... specie come serie completa. Il primo romanzo, invece, tutto sommato potrebbe anche intrigare ancora un po’, se siete appassionati di gialli e di thriller... perché, sia chiaro, il primo non è null’altro che una sorta di giallo; con una detective dallo stato metafisico un po’ particolare, ma pur sempre un giallo.


mercoledì 28 maggio 2014

RECENSIONE: "Sconosciuti in treno" di Patricia Highsmith

Avevo già letto qualcosa di Patricia Highsmith, ma era stato molto tempo fa; più o meno dovevo avere 15 o 16 anni, quindi, facendo due rapidi calcoli, è passato un decennio da allora. L’idea che mi ero fatta era “lettura interessante, ma non molto leggera”. Adesso, a dieci anni di distanza, l’idea che ho non è del tutto diversa, dopo avere letto questo romanzo scritto nel 1950.

La trama
Guy è un uomo sulla trentina, si è sposato quando era molto giovane, ma il matrimonio è fallito. Vuole il divorzio da sua moglie, per potersi risposare, ma lei non ne sembra molto convinta.
Bruno ha venticinque anni, è alcolizzato ed è nato in una famiglia ricca, e non vede l’ora di liberarsi di suo padre, che detesta.
I due si incontrano per caso in treno e, durante il viaggio, iniziano a raccontare l’uno all’altro la storia delle loro vite. All’improvviso Bruno ha un’idea: il modo migliore per migliorare le loro vite è sbarazzarsi delle persone che vedono come ostacoli.
Mentre per Guy non è null’altro che un discorso fatto dopo avere bevuto qualche drink di troppo, per Bruno la cosa è diversa e inizia a pianificare il delitto della moglie di Guy. In cambio Guy dovrà, secondo lui, uccidere suo padre.
E infatti Bruno uccide Miriam, l’ex moglie di Guy. Il mistero intorno alla sua morte rimane insoluto e il delitto viene attribuito a un pazzo. In un primo momento Guy non sospetta di Bruno, ma quando lui inizia a tartassarlo di telefonate e lettere capisce che è lui il colpevole. Inoltre Bruno vuole che lui ricambi il favore. Inizia a perseguitarlo, minacciandolo di dichiararsi colpevole del delitto, ma di accusare lo stesso Guy di esserne il mandante.
In un primo momento Guy lo ignora. Quando la situazione diventa troppo ingestibile, però, lo asseconda: spara al padre di Bruno, dopo essersi introdotto nella loro casa, sperando in quel modo di liberarsi di Bruno. Era convinto che sarebbe stata la fine di un incubo, ma per lui è solo l’inizio.

Struttura
Il romanzo è narrato in terza persona e segue per la maggior parte le vicende di Guy, alternate con qualche capitolo in cui seguiamo quello che invece succede a Bruno.
Il punto di vista è generalmente quello di Guy (o quello di Bruno nei capitoli dedicati a quest’ultimo), anche se a volte, all’improvviso, il narratore diventa onnisciente, cosa che, vista la mia “fissazione” per il POV, devo ammettere che non mi è piaciuta granché.
I due personaggi ci vengono presentati, bene o male, come due opposti, specie quando, andando avanti nella lettura, scopriamo quale sia il loro stato d’animo dopo avere commesso i delitti. Bruno sembra appagato da quello che ha commesso, anche se non si capisce bene per quale motivo senta di avere un profondo legame con Guy. Guy, invece, non è affatto indifferente a quello che è accaduto e, fin dal momento in cui commette il delitto, sente di avere un peso sulla coscienza. In realtà in certi momenti i due protagonisti sembrano più simili di quanto potrebbe apparire.

Cos’ho apprezzato:
- l’originalità della trama;
- il fatto che riusciamo a intravedere i pensieri di entrambi i protagonisti.

Cosa non ho apprezzato:
- lo stile dell’autrice, a mio parere, è un po’ pesante;
- per buona parte del romanzo non c’è azione (ma c’è spazio solo per quelle che solitamente chiamo “saghe mentali”);
- le ragioni che spingono Guy ad assecondare Bruno sono, a mio parere, del tutto inverosimili.

Valutazione finale: 3,5/5
Mi sarebbe piaciuto andare oltre, ma in certi momenti la lettura non è che mi abbia presa più di tanto... alla luce di quanto ho già detto, non vado oltre il 3,5.

martedì 27 maggio 2014

RECENSIONE: "Il mistero del treno azzurro" di Agatha Christie

C’era una volta una vittima che veniva assassinata in treno... e c’era una volta, per la prima volta, Hercule Poirot che viaggiava sullo stesso treno.
Si tratta de “Il mistero del treno azzurro”, pubblicato nel 1928, qualche anno prima del celebre “Assassinio sull’Orient Express”, in cui per la seconda volta Poirot viaggiava sullo stesso treno in cui venne commesso un delitto.

La trama
Un ricco uomo di mezz’età con l’immancabile segretario che lo segue di continuo, che in questo caso risponde al nome di Mr. Van Aldin, regala un prezioso gioiello alla figlia Ruth, per consolarla dal suo matrimonio che sta collassando. Ruth è sposata con Derek, uno squattrinato che Van Aldin vuole togliersi di torno. Anche Ruth, in teoria, vorrebbe divorziare, ma ha paura che nasca uno scandalo, perché lei stessa frequenta un altro uomo, un certo conte De La Roche. Mr. Van Aldin, come ogni ricco uomo di mezz’età dei romanzi della Christie che ha una figlia non legata a un lontano parente, non apprezza gli uomini che girano intorno alla figlia.
A St. Mary Mead (paese di Miss Marple, che però non fa la propria comparsa, ed è un vero peccato, dal momento che mi sarebbe piaciuto moltissimo vederla indagare insieme a Poirot *-*) frattanto una certa Katherine, che faceva la governante, riceve in eredità un’ingente somma dalla padrona di casa defunta e va in Costa Azzurra. Si tratta dell’ennesimo prototipo di governante trentenne destinata a far innamorare di sé TUTTI gli uomini di età compresa tra i 30 e i 35 anni presenti nel romanzo, che naturalmente anziché un banale invito a cena le fanno direttamente una proposta di matrimonio.
Prima di arrivare alle proposte di matrimonio, comunque, in treno conosce Ruth, diretta in vacanza (anche se pare che in realtà debba incontrare l’amante), che le racconta le proprie sventure sentimentali. All’arrivo al capolinea, quando Ruth viene ritrovata morta, Katherine che ha parlato con lei viene chiamata a riconoscere il cadavere. Successivamente decide di aiutare Poirot nelle indagini, che si rivelano complicate in quanto esistono diversi possibili moventi.
L’assassino è forse De La Roche? O l’ex marito che nel frattempo ha fatto una proposta di matrimonio a Katherine (N.d.A: l’altro pretendente è il segretario di Val Aldin)? O l’amante di quest’ultimo? O magari un banale ladro di gioielli? Più la rete si stringe intorno allo squattrinato Derek, guarda caso entrato in possesso di un’ingente eredità, e più Katherine vuole vederci chiaro, anche se per motivi diversi rispetto a Poirot...

Piccola nota: l’inserviente sul Treno Azzurro (che fa una comparsa di non più di mezza pagina) è nientemeno che Pierre Michel, poi divenuto personaggio di “Assassinio sull’Orient Express”.

Struttura
Il romanzo è narrato in terza persona e abbiamo una panoramica su diversi personaggi; a mio parere nella fase iniziale un po’ troppi, di cui non riusciamo a comprendere che cosa c’entrino gli uni con gli altri. Ma niente paura, prima o poi tutto ci sarà chiaro, più o meno all’ultima pagina.
I personaggi, di per sé, non svettano particolarmente: abbiamo il ricco circondato da gente che lavora per lui, con una figlia infelice sposata con uno squattrinato che la tradisce, un nobile che in realtà si spaccia solo per nobile, una donna di servizio diventata improvvisamente ricca, vari parenti alla lontana che sbucano fuori dal nulla non appena c’è la possibilità di guadagnare soldi... L’“anomalia” rispetto allo standard è l’ambientazione, sul treno, che poi la Christie riproporrà nell’altro più celebre romanzo già citato.
Come al solito l’intreccio è eccellente e come al solito ci sono cascata: i dettagli sfuggono e il lettore non si fa le domande che avrebbe dovuto farsi... insomma, Mrs. Christie si rivela ancora una volta come la grande regina del giallo.

Valutazione finale: 3,5/5.
Il romanzo è scorrevole, la trama è interessante... ma tutto sommato, a parte l’ambientazione, c’è poco che spicca, nei confronti con gli altri romanzi della Christie. Dal confronto con “Assassinio sull’Orient Express”, però, ne esce nettamente perdente, nonostante la troppa teatralità (voluta dall’autrice) di quest’ultimo me l’abbia fatto apprezzare un po’ meno del solito, dopo l’ultima rilettura.

lunedì 19 maggio 2014

Recensione: "C'era una volta" di Agatha Christie

Correva il 1945 e usciva “Death comes as the end”, che in italiano si chiama “C’era una volta” (titolo pessimo a mio parere, ma neanche quello originale, a mio avviso, rendeva bene le idee), uno dei romanzi forse meno conosciuti di Agatha Christie. Di lei si conoscono soprattutto la serie con Poirot, la serie con Miss Marple e “Dieci piccoli indiani”. Questo romanzo è qualcosa di diverso... o meglio, per certi versi è molto diverso, per certi altri è la solita vecchia storia girata e rigirata in modo da apparire completamente diversa.
Abbiamo una famiglia ricca, un patriarca vedovo con un’amante giovane e sexy, un figlio privo di carattere, un figlio sexy e donnaiolo, una figlia vedova che riceve proposte di matrimonio da tutti gli uomini presenti e che si sente in dovere di accettarne una all’ultima pagina del romanzo, un ragazzino viziato e sbruffone, una nonna che parla a enigmi, una parente povera che odia chi la mantiene, un segretario giovane che non è esattamente il miglior partito per la figlia vedova, un vecchio amico di famiglia da sempre innamorato della figlia vedova che ha i soldi ma non appartiene a una famiglia importante, nonché dozzine di servi senza un ruolo ben preciso se non quello di far notare che si tratta di una famiglia ricca.
E allora dove sta la novità? Siamo a Tebe, anziché a St. Mary Mead. E siamo nel 2000 avanti Cristo, anziché negli anni ’40.
Vi ho incuriositi? Se la risposta è sì, procedete pure con la lettura della mia recensione, con la consapevolezza che NON ci saranno spoiler sul finale.

La trama
Sono passati otto anni da quando Renisenb, appena adolescente, si è sposata e ha lasciato la casa di suo padre Imhotep. Il marito è morto e adesso lei è tornata.
Nella tenuta di famiglia vivono:
- Imhotep, che spesso viaggia per questioni legate ai commerci della famiglia;
- il figlio maggiore Yamhose, con la moglie Satipy, tanto inetto lui in ogni ambito tranne in quello professionale quanto dominatrice lei;
- il secondogenito Sobek con la moglie Kait, lui sempre fuori casa per andare a donne, lei sempre a badare ai bambini litigando con la cognata Satipy;
- il figlio 16enne, di secondo letto, Ipy, un ragazzino estremamente viziato e sbruffone dalle cui labbra Imhotep sembra pendere;
- la nonna Esa, che ormai non ci vede più e fatica a reggersi in piedi, ma che sembra più sveglia di tutti gli altri componenti della famiglia messi insieme;
- l’anziana “parente povera” Henet, che non fa altro che spingere gli altri a litigare;
- l’amico di vecchia data Hori, che aiuta Imhotep nella parte più gestionale dei lavori e che è segretamente innamorato di Renisenb;
- un certo Kameni, un lontano cugino venuto dal nord, che a quanto capisco è una sorta di segretario o contabile e che è dichiaratamente innamorato di Renisenb;
- una quantità random di lavoratori e personale di servizio dal ruolo pressoché nullo.
In questa Inghilterra degli anni ’40 delocalizzata nell’Egitto di due millenni prima, Imhotep torna a casa dal viaggio di lavoro con Nofret, una concubina ventenne dalla bellezza schiacciante. Poi riparte per un nuovo viaggio di lavoro, lasciandola a casa.
Nofret odia tutti e tutti odiano Nofret. In realtà Nofret è attratta da Kameni, ma lui non ne vuole sapere perché è attratto da Renisenb.
Poi Nofret cade da un dirupo e muore: nessuno sembra dispiaciuto dalla sua prematura dipartita, mentre Satipy inizia a comportarsi in modo strano, prima di cadere anche lei dallo stesso dirupo. Nei mesi successivi i due figli maggiori bevono vino avvelenato (uno muore, l’altro si salva per miracolo), un contadinello che aveva testimoniato viene assassinato prima di dare la testimonianza definitiva e il figlio adolescente viene affogato in un lago. Tutti, a parte Renisenb, Hori, la nonna Esa e forse anche la misteriosa Henet, sembrano convinti che lo spirito di Nofret si stia vendicando dall’aldilà.
Tutti lo credono, almeno, fino al momento in cui nonna Esa convoca una riunione in stile riunioni di Poirot con tutti i sospettati e fa capire al/alla colpevole di essere informata dei fatti. Proprio quando sta per confidare a Hori i propri sospetti, viene assassinata a sua volta (tramite una crema avvelenata che ha assorbito tramite pelle).
Renisenb è sempre più smarrita, Imhotep è sempre più convinto che sua figlia dovrebbe risposarsi col segretario/contabile e andarsene, Henet è sempre più strana... e tutto resta in sospeso fino al finale, in cui anche altre due persone (tra cui il colpevole) moriranno.

Struttura
Il romanzo è narrato in terza persona, con punti di vista alternati, talvolta, anche se in genere quello che va per la maggiore è quello di Renisenb.
Renisenb, in realtà, non è poi tanto diversa dalle giovani protagoniste dei rari romanzi della Christie in cui Poirot o Miss Marple intervengono solo in una fase avanzata delle vicende oppure per buona parte del tempo stanno in secondo piano.
Il testo è scorrevole e, nonostante i nomi siano molto inconsueti per chi non conosce l’Antico Egitto, non c’è mai il rischio di fare confusione dato che sono molto diversi l’uno dall’altro.
Ancora una volta, come sempre accade nei romanzi della Christie, l’intrigo è costruito molto bene e, fino all’ultima pagina, molte cose rimangono in sospeso.
I personaggi sono ben costruiti e, seppure in apparenza possano sembrare un po’ troppo “estremi”, si evince nel corso dei capitoli che si sono “estremizzati” nel corso del tempo, cosa che a mio parere li rende piuttosto credibili.
CURIOSITÀ: per sua stessa ammissione Mrs. Christie scrisse questo romanzo su suggerimento di un egittologo amico di suo marito e, quando glielo sottopose, a lui non piacque la soluzione al mistero, così lei decise di cambiarla. Non rivelò mai come intendesse farlo terminare.

Pensiero post-lettura: “Roger Ackroyd chi?! O.O”

Valutazione finale: 5/5
Questo romanzo entra dritto al secondo posto della classifica dei miei preferiti della Christie, e si deve accontentare del secondo posto soltanto perché, a mio parere, “Dieci piccoli indiani” è imbattibile.

venerdì 16 maggio 2014

RECENSIONE: Nicci French, "Dolce e crudele"

“Dolce e Crudele”, romanzo del 1999 di Nicci French (secondo quanto riportato nel libro una giornalista inglese, secondo quanto riporta Wikipedia lo pseudonimo con cui una coppia di giornalisti, marito e moglie, firmano romanzi a quattro mani) è un elogio allo stalking e alla violenza domestica, ma solo qualora sia commesso da un bell’uomo che è il grande ammmmmmmore della tua vita, che dopo circa 200 pagine di scene sadomaso appena accennate si trasforma nelle ultime 150 in un thriller.
Me lo sono ritrovata davanti in biblioteca qualche giorno fa, l’ho preso in prestito e me lo sono letta in un giorno, tra le varie pause al lavoro e la sera.

La trama
Alice è una giovane scienziata che lavora per un’azienda farmaceutica. Ha molti amici e un fidanzato con cui tutto va a gonfie vele. Non vorrebbe cambiare niente nella sua vita, almeno finché per puro caso, per strada, si imbatte in un perfetto sconosciuto. Dell’uomo in questione scopriamo che: 1) è bello, 2) ha gli occhi blu, 3) è un alpinista. Il comportamento di Alice è ovviamente quello che qualunque donna normale terrebbe nei confronti di un perfetto sconosciuto: senza nemmeno averci parlato, se lo porta a letto.
Cosa succede a quel punto? Mhm... per più o meno una settantina di pagine Adam, questo è il nome dello sconosciuto, la segue di nascosto, la tartassa di telefonate, le scrive delle lettere. Come qualunque donna normale, Alice si ritrova pazzamente innamorata di lui. Le basta un nanosecondo per sbarazzarsi della sua vecchia vita e, dopo avere abbandonato la casa dello storico fidanzato, si trasferisce da Adam che, a velocità record, da far invidia a un paranormal romance con protagonisti sedicenni, le fa una proposta di matrimonio. Ovviamente, come qualunque donna normale, Alice accetta senza mezzi termini. D’altronde chi rifiuterebbe un uomo bello con gli occhi azzurri? Il fatto che sia uno stalker e che la costringa ad avere rapporti sadomaso lo rende incredibilmente rommmmmmmantico.
Alice si sposa, taglia i ponti con tutti, come qualunque donna che ha trovato il vero ammmmmmmore si annulla più di quanto si annulli Bella Swan di “Twilight” e scopre tante cose sulla vita del marito, ovvero che: 1) è bello, 2) ha gli occhi blu, 3) è un alpinista rimasto coinvolto in una disgrazia in cui morì varia gente, tra cui una sua ex ragazza alpinista.
Frattanto arrivano strane telefonate, strani messaggi e bottiglie di latte piene di insetti morti. Quest’ultimo episodio tra l’altro fa convincere Alice che il suo ex fidanzato sia uno stalker e che la sta tormentando, e lei corre ad accusarlo. Però da un certo punto in poi tutto finisce e il perseguitatore(?) non si fa più vivo. Infatti, faccenda da niente, a fare tutto ciò era una ragazza che poi è finita in un fiume, sorella di un’ex amante di Adam che lo aveva lasciato. E le ex di Adam morte dopo averlo lasciato, diventano due.
Tra un rapporto sadomaso e l’altro e tra un pedinamento e l’altro dal suo rommmmmmantico marito, Alice inizia a indagare su di lui, scoprendo che i suoi sospetti sono abbastanza fondati...

Bonus: come in TUTTI i thriller che si rispettino, quando (oltre la metà del romanzo) iniziamo a renderci conto che si tratta di un thriller, la scena clou è, naturalmente, l’omicidio del gatto della protagonista.
Doppio bonus: il gatto non era mai stato menzionato fino alla pagina precedente, e fa la propria comparsa appositamente per essere ucciso.

I personaggi
ALICE: è una donna intelligente, acculturata e indipendente, a parole. E allora perché sposa un maniaco, sapendo bene che è un maniaco, dopo poche settimane di frequentazione? Ma è ovvio: perché i maniaci sono rommmmmantici. Nel finale, dopo un tragico epilogo, si rende conto che sposare un maniaco non è stata una cosa molto intelligente, ma ora che lui non c’è più la sua vita è vuota: lui voleva ucciderla... ma voleva ucciderla solo perché la amava! E dire che fino a tre pagine prima mi sembrava che avesse aperto gli occhi...
ADAM: è un alpinista, è bello e ha gli occhi blu. Questo lo rende rommmmmantico. Il fatto che si diverta a stalkerare e seviziare la propria compagna lo rende ancora più rommmmmantico.
TUTTI GLI ALTRI: sono poco più che nomi, perché nella vita di Alice, occupata dal suo grande ammmmmmore, non c’è spazio per loro.

Valutazione finale: 3/5
Trama: potenzialmente interessante, ma non sfruttata al meglio.
Personaggi: abbastanza piatti, oppure visti e rivisti.
Finale: dal punto di vista del mistero, è abbastanza scontato.
Nota positiva: Nicci French ha scritto di una protagonista che ama essere seviziata e stalkerata, dato che l’uomo che commette tali azioni ha charme, e ha descritto uno stalker sadico come un eroe romantico, cosa che va molto di moda ora, oltre dieci anni prima che questo genere di trame venissero di moda.

giovedì 15 maggio 2014

Recensione: Agatha Christie, "L'assassinio di Roger Ackroyd" AKA "Dalle nove alle dieci"

Quando ho recensito “Assassinio sull’Orient Express” [X] ho messo al primo posto, con riserva, “L’assassinio di Roger Ackroyd” (pubblicato nel 1926), per originalità nei romanzi di Agatha Christie. Mi rimangio quello che ho detto. Il the best dei the best a mio avviso è “Dieci piccoli indiani”.
Dopo la rilettura de “L’assassinio di Roger Ackroyd” (quanto sarebbe stato più bello il titolo “Dalle nove alle dieci”, con cui uscì molti decenni fa!) devo ammettere che siamo di fronte a un romanzo originale, con una soluzione originalissima, che però sta in piedi solo perché la voce narrante omette, a proprio piacimento, dei dettagli importanti. C’è chi definisce tutto ciò come un inganno o una fregatura. Io rimango del parere che un autore di gialli sia libero di ingannare e di fregare, se lo fa con classe, i propri lettori. L’idea alla base è eccezionale (anch’io, prima di conoscere questo romanzo, cercai di metterla in atto in un mio racconto, tra l’altro!)... però a mio parere un po’ di amaro in bocca, per come è strutturato il romanzo, la lascia.
Nella recensione che segue cercherò di evitare al massimo gli spoiler e ovviamente non farò cenno al finale.

La trama
Ci sono due categorie di romanzi di Agatha Christie: quelli con un’ambientazione particolare (il treno e l’isola deserta dei due romanzi già citati prima) e quelli con un’ambientazione standard. Stavolta siamo nel secondo caso e l’ambientazione standard ha tutti i suoi elementi:
- paesino di campagna;
- villa del ricco di turno, che pur non avendo mai lavorato in vita sua ha una fonte di reddito tale da permettergli di mantenere una mezza dozzina di figli, figliastri, cugini e nipoti di vario grado e di pagare lo stipendio e a dozzine di maggiordomi, cuoche e governanti;
- straniero bizzarro che si è rifugiato nel suddetto paesino e che, guarda caso, corrisponde al nome di Hercule Poirot.
Il ricco vedovo di turno, tale Roger Ackroyd, è in eterna guerra col figliastro (Ralph), che non lavora e sperpera i suoi soldi e che non vuole fidanzarsi con la cugina riccastra di turno (Flora), che non lavora vive a spese dello zio insieme alla madre che a sua volta non lavora e che si lamenta di non ricevere abbastanza soldi. A casa di Ackroyd troviamo anche: un rozzo cacciatore (Blunt) che ha trascorso buona parte della propria vita in Africa, che attualmente non lavora e che pare che sia ospite fisso a casa Ackroyd; il segretario Raymond la cui utilità è piuttosto scarsa; una quantità random di persone di servizio.
La voce narrante, il dottor Shepard, è un caro amico di Ackroyd. Il giorno dopo la morte della fidanzata di Roger (anch’essa vedova, e il cui marito è morto in circostanze sospette), si reca a casa Ackroyd e, in sua presenza, il riccastro apre una lettera a lui indirizzata dalla sua donna, morta suicida. Nella lettera è scritto che si uccide perché qualcuno la sta ricattando, sapendo che ha assassinato il proprio defunto marito. Roger non vuole leggere la lettera prima di rimanere solo e, quando il dottore se ne va, non ha ancora letto il nome del ricattatore.
Shepard torna a casa, dove vive con la sorella pettegola Caroline, e riceve una telefonata che lo informa che Roger è stato assassinato. Accorre sul luogo ed effettivamente Roger è stato pugnalato alle spalle, in una stanza chiusa a chiave dall’interno, ma con una finestra aperta. I sospetti cadono sul giovane Ralph, che sembra essere scomparso nel nulla.
Scotland Yard, come da buona tradizione, brancola nel buio. Per fortune c’è Poirot, sopraggiunto sul luogo per dedicarsi alla coltivazione delle zucche, che come da ancora migliore tradizione decide di utilizzare il medico come “assistente”, perché gli ricorda il suo caro amico e collega Hastings che ormai è emigrato da tempo in Argentina.
Naturalmente nessun mistero è irrisolvibile per le “celluline grigie” del modestissimo Poirot... A proposito, questa è la prima volta in cui, parlando con l’ispettore Raglan (che come da buona tradizione), le menziona:

«Tanto per cominciare: metodo. È quello che so-stengo sempre: il metodo.»
«Ah! Anche per me, questa è la parola d'ordine. Metodo, ordine e cellule grigie.»
«Cellule?»
«Le piccole cellule grigie del cervello!»
«Ah! Certo, certo, ma anche noi le usiamo.»
«Più o meno, però ci sono differenze qualitative.»

Non c’è che dire, quest’uomo è un idolo! E, come dicevo, la modestia è decisamente la sua qualità più marcata! :D

Struttura
Il romanzo è narrato in prima persona, e questo lo rende a mio avviso più scorrevole di quelli in cui la narrazione avviene in terza persona: di base non amo molto i romanzi in cui il punto di vista salta da un personaggio all’altro da una frase all’altra.
Diversamente da altre volte, la prima persona viene sfruttata per nascondere dettagli: Shepard racconta solo ciò che vuole. Questo, alla fine, può fare storcere un po’ il naso.
Certi personaggi sono caratterizzati abbastanza bene, certi altri passano spesso in secondo piano e l’autrice non si concentra molto su di loro.

Valutazione finale: 4,5/5
Se l’idea sulla quale è basato il romanzo fosse stata utilizzata in modo più politically correct (ad esempio facendo iniziare il romanzo in media res, e non con il medico che va a far visita all’amico ancora vivo e vegeto), avrei optato per il massimo. Anche se la stanza fosse stata completamente sigillata, creando un enigma della camera chiusa, avrei optato per il massimo.
Diciamo che mi accontento, che consiglio questo romanzo a tutti gli amanti del giallo, e che un goccio di colluttorio mi toglierà dalla bocca l’amaro di essere stata spudoratamente ingannata, ma con meno classe del solito. ;-)

venerdì 2 maggio 2014

Recensione: "I diari dell'angelo custode" di Carolyn Jess-Cooke

"I diari dell'angelo custode" di Carolyn Jess-Cooke, uscito pochi anni fa, è un romanzo che si può definire allo stesso tempo drammatico e urban-fantasy.

La trama
Margot ha quarant'anni e la sua vita è stata tutta un errore. Cresciuta senza genitori, oggi è una donna incapace di ricambiare un grande amore, una madre incapace di salvare il proprio figlio da un destino di infelicità. Il giorno in cui muore in circostanze misteriose, Margot è sola. Ma la sua vita non si conclude. Ciò che sembrava la fine è in realtà una trasformazione: Margot diventa un angelo custode e dovrà proteggere una vita mortale. Scopre però che per volere divino, o forse del fato, l'essere umano che le è stato affidato altri non è che se stessa. Costretta a tornare sulla terra per rivivere la propria vita, dovrà così assistere nuovamente alla vertiginosa altalena dei suoi giorni, fatti di molti dolori e rari momenti di felicità. Da angelo custode di se stessa, Margot dovrà capire quanto e come potrà intervenire per cambiare il corso degli avvenimenti e sostenere quella fragile bambina, poi ragazza e infine donna nelle mille scelte, a volte felici, più spesso tragiche, della sua esistenza. Fra i tanti dubbi e rimpianti ha solo una certezza: è disposta a tutto pur di cambiare almeno un evento, uno solo...

Proprio come riportato dalla quarta di copertina, la vita di Margot è stata un disastro. Quando le viene affidato l'incarico di divenire l'angelo custode di se stessa e viene mandata indietro nel tempo, le sembra qualcosa di troppo complicato. Poi si adatta e capisce che è fondamentale, per lei, cambiare la vita di Margot, che è stata un susseguirsi di eventi tragici:
- la morte della madre tossicodipendente e l'allontanamento dal padre incapace di occuparsi di lei;
- l'adozione da parte di una coppia perbene, tragicamente deceduta in un attentato;
- la nuova adozione da parte di una coppia di criminali, a causa dei quali subisce numerosi maltrattamenti;
- l'adozione da parte di un medico, dalla cui moglie e dalla figlia minore viene abbandonata;
- gli orribili maltrattamenti di cui è stata vittima negli anni trascorsi in orfanotrofio;
- la fuga e l'adozione da parte di un'anziana coppia che finalmente le dà l'amore di cui aveva bisogno, e il dolore per la perdita della madre adottiva (morte che all'angelo custode/Margot viene anticipata dal demone Grogor, che incontra proprio nella casa della coppia);
- l'aborto causato dall'aggressione del suo primo fidanzato;
- la tossicodipendenza e l'alcolismo;
- il fallimento del suo matrimonio;
- un figlio violento che, a 18 anni, è stato condannato per omicidio;
- l'uccisione, da parte di ignoti.
Sorvolando che un tale cumulo di disgrazie è divenuto in certi momenti quasi inverosimile (specie nei momenti in cui, seppure sia circondata da persone che potrebbero guidarla nella giusta direzione, è lei stessa a farsi del male), per l'angelo il compito sembra molto complicato ed è reso ancora più complicato dai tanti demoni che circondano Margot.
Cerca in ogni modo di condizionare le scelte di Margot, arriva addirittura a stringere, con l'aiuto di Grogor, un patto con il diavolo... ma non capita niente di diverso da quello che succedeva nella prima versione della vita della sua protetta.
Solo quando l'angelo comprende che deve permettere a Margot di prendere le proprie decisioni, qualcosa inizia a mutare e finalmente l'angelo inizia a intravedere uno spiraglio di luce, segno che forse potrà salvare almeno suo figlio.
Il personaggio più approfondito è ovviamente quello della protagonista, sia nella sua versione umana sia nella sua versione angelica. All'inizio vengono presentati quasi come due personaggi separati, perché la Margot angelo vede la Margot umana come estranea. Specie quando la Margot umana diventa adulta, la Margot angelo inizia a riconoscersi in lei.
Gli altri personaggi che si incontrano sono sicuramente interessanti e colpiscono, in particolare quelli non umani: il demone Grogor ha un ruolo centrale e l'unica pecca, a mio parere, è che spesso venga messo in secondo piano e che la sua identità non venga approfondita (così come non viene approfondita la questione dei demoni: sappiamo che gli angeli sono spiriti di umani che devono dimostrarsi degni del paradiso e quindi sono divenuti custodi di qualcuno a cui generalmente erano legati nella loro vita, ma ben poco ci viene detto di come i demoni siano diventati demoni); è molto interessante inoltre, seppure faccia poche comparse, James ovvero l'angelo custode di Theo, il figlio di Margot (la cui identità viene rivelata nel finale, ed è abbastanza spiazzante).
A proposito di finale: finalmente veniamo a scoprire chi abbia assassinato Margot... e la risposta è davvero molto sorprendente!

Testo e struttura
Il testo è narrato in prima persona, il punto di vista è quello di Margot, ma grazie al fatto che può intravedere i pensieri di chi ha intorno, sappiamo anche che cosa spinge gli altri personaggi ad agire. Devo ammettere, però, che in certi momenti l'ho trovato un po' una forzatura.
Ho trovato il testo sempre piuttosto scorrevole... forse un po' meno nel finale, che ho dovuto rileggere una seconda volta per comprendere a pieno che cosa fosse accaduto.

Valutazione: 4,5/5
Ho trovato questa lettura molto piacevole, per quanto spesso un po' deprimente e pessimista. Lo consiglio agli amanti dei romanzi drammatici, ancora di più che agli amanti del fantasy.
A proposito di fantasy, trovo che, come urban fantasy, sia molto originale e diverso dalla maggior parte dei romanzi appartenenti allo stesso genere. E' appunto l'originalità che mi ha spinta a un voto così alto.