Pubblicato nel 1957, “Acque profonde” è un romanzo di
Patricia Highsmith, autrice di cui ho già avuto modo di parlare tempo fa, dopo
avere letto e recensito qualcos’altro di suo.
La trama
Direi che non c’è inizio migliore della quarta di
copertina, che riporterò testuale qui di seguito:
Victor è un marito
ideale, l’uomo che tutte vorrebbero. Bello, colto, posato, ma amante della
compagnia. Melinda è invece la donna che nessun uomo vorrebbe: la classica
mogliettina insipiente, carina ma sciatta, superficiale e con pochi interessi,
sempre pronta a flirtare con chi si mostra anche solo vagamente disponibile. Nonostante
tutto, il loro menage familiare sembra solido e destinato a durare, forse per
quegli strani equilibri che si creano all’interno delle coppie. Un giorno però
l’equilibrio si spezza, senza preavviso. La razionalità, che aveva sempre
guidato Victor, sembra imboccare altra via, e Victor si trasforma in un killer
freddo e determinato pronto a farsi giustizia da sé. Un affascinante viaggio
nei meccanismi più reconditi dell’inconscio che ci svela come talvolta l’autocontrollo
sia solo la più infida delle nevrosi, capace di mutare un uomo apparentemente
tranquillo in uno psicopatico omicida.
Vic è il titolare di una piccola azienda, o almeno così
mi pare di capire. Melinda è una donna dedita all’alcool che non fa un
accidente dalla mattina alla sera, a parte bere. I due hanno una figlia di
sette anni, di cui soltanto Vic si occupa. Vic e Melinda in realtà più che una
coppia vera e propria sembrano essere separati in casa. Lui la mantiene. Melinda
ha una sfilza interminabile di corteggiatori altrettanto propensi all’alcolismo
e altrettanto privi di spessore.
A una festa, dopo avere bevuto qualche bicchiere di
troppo (nei romanzi della Highsmith TUTTI bevono come spugne) si diverte a far
credere a un corteggiatore di Melinda di avere ucciso, in passato, un amante
della donna, che è effettivamente morto. Qualcuno ci crede, ma sono di più
quelli che non ci credono. Infatti si scoprirà, poco dopo, che quel tizio era
stato assassinato da qualcun altro.
Poi, a un certo punto della narrazione, infastidito dalla
presenza di un corteggiatore di Melinda particolarmente volgare e insulso, Vic
lo affoga in piscina a una delle molteplici feste in cui tutti bevono come
spugne. Melinda dà di matto e lo accusa di essere il colpevole, ma la morte
passa per accidentale. Di fatto questo è solo l’inizio di un susseguirsi di eventi,
che sfoceranno in un imprevisto(?) finale.
Considerazioni
varie
In sintesi abbiamo Vic e Melinda, i personaggi
principali, che non mi sembrano tanto diversi dai soliti personaggi della
Highsmith.
Lui è un uomo che dovrebbe apparirci completamente
normale, anche se nel corso del romanzo si lascia dietro tre cadaveri. Come tipico
dei romanzi della Highsmith, il protagonista ritiene perfettamente normale
lasciarsi dietro tre cadaveri.
Lei è una delle tante oche svampite che si incontrano nei
romanzi della Highsmith stavolta più tendente all’alcolismo che di solito: di
fatto la maggior parte degli psicopatici hanno mogli oche, nei suoi romanzi.
Di fatto ho avuto l’impressione, seppure finora abbia
letto soltanto una minima parte della sua produzione, che la Highsmith abbia la
tendenza a mettere in gioco elementi molto simili, tra un romanzo e l’altro.
Valutazione: 3,5/5
Il romanzo è scorrevole e rapido da leggere (l’ho
iniziato ieri e, di fatto, l’ho letto soltanto nelle pause al lavoro, a parte
stasera), ma a mio parere ha la pecca di farci capire molto in fretta dove l’autrice
voglia andare a parare.
Il finale, inoltre, che forse avrebbe dovuto apparirci
spiazzante, mi è sembrato non dico scontato, ma quantomeno prevedibile.
I personaggi, inoltre, dal primo all’ultimo mi sono
apparsi, seppure ben caratterizzati, un tantino grotteschi e molto poco
credibili.
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