venerdì 25 gennaio 2013

Recensione di "La collezionista di ricette segrete", Allegra Goodman

Oggi ho deciso di recensire un romanzo che ho letto la scorsa estate in spiaggia; dopo che mi era stato regalato da una cara amica per il mio ventiquattresimo compleanno. L’autrice è Allegra Goodman – di cui purtroppo non so dirvi niente, dato che non l’avevo mai sentita nominare prima di leggere il suddetto romanzo – e il titolo è “La collezionista di ricette segrete”.
Si ricorda che questa recensione è realizzata tenendo conto del mio punto di vista e che esso non vuole influenzare nessuno.

Prima impressione
Il titolo è abbastanza in linea con quello originale, “The cookbook collector”, anche se, in effetti, a guardarci con attenzione potrebbe essere non troppo azzeccato. Di fatto mi dà un po’ l’impressione di essere un libro di cucina, e in effetti è vero che parte della trama è incentrata su libri di ricette, ma è anche vero che, dall’altra parte, ci sono tante altre cose. In particolare, se il titolo è riferito a una delle due protagoniste, dall’altro lato il romanzo si sarebbe potuto chiamare “La titolare di un’impresa informatica emergente”, senza che fosse meno azzeccato alla trama.

La trama in breve
Il romanzo segue in modo abbastanza lineare la storia di due sorelle lungo due anni e mezzo, dall’autunno del 1999 alla primavera del 2002.
A loro si intrecciano le vicende di altri personaggi, ma le protagoniste assolute sono Jessamine, studentessa di filosofia, e la sorella maggiore Emily, giovane titolare di un’impresa informatica che arriva ad arricchirsi in maniera considerevole grazie alla crescita dei mercati finanziari che ha accompagnato la fine degli anni ’90.
Le loro storie, a dire la verità, si intrecciano soltanto a malapena: Jessamine è una ragazza forse un po’ sconclusionata, che lavora in un negozio di libri, suscitando l’interesse del titolare ormai quarantenne, affascinato da lei che però, per molto tempo, preferisce la compagnia di giovani altrettanto – se non di più – sconclusionati, e la situazione tra i due cambierà molto quando si ritroveranno a dover valutare una collezione di libri antichi di ricette; Emily vive da tutt’altra parte, è una donna in carriera fidanzata con un giovane imprenditore, sembra che la sua vita sia incentrata sul successo professionale, almeno finché il crollo dei mercati all’inizio del ventunesimo secolo non la mette di fronte alla realtà.
Le vicende si susseguono presentandoci una Jess impulsiva ed emotiva e contrapponendola a una Emily estremamente razionale, che però sul finale, dopo la drammatica perdita di una persona cara, finirà per fare affidamento sulla sorella minore, che si rivelerà ben meno sconclusionata di quanto poteva sembrare.

Struttura e testo
Il romanzo è strutturato in otto parti suddivise ciascuna in capitoli – in numero variabile tra l’una e l’altra – molto basate sugli eventi capitati tra il 1999 e il 2002 nel mondo.
Di fatto non è una struttura poco azzeccata, però a mio parere sarebbe più adatto se fosse Emily la protagonista assoluta. La storia di Jessamine, infatti, mi sembra essere ben poco legata ai mutamenti economici, politici e sociali e, a uno sguardo attento, sembra che la struttura dei capitoli non ne tenga molto conto. Forse l’autrice voleva mostrare un intreccio, altrimenti non tanto evidente, tra la vita delle due sorelle. Purtroppo, però, se il suo intento era questo io non l’ho colto.
Si tratta comunque, a mio avviso, di un romanzo avvincente: è lungo quasi 500 pagine, eppure non mi è mai venuta voglia di lasciare la trama a metà.
Il fatto che la storia delle due sorelle sia costeggiata da eventi storici e sociali recenti è comunque un punto a favore... anche se va detto che il mio è un parere da laureata in economia. Di fatto una persona che non ha fatto i miei studi e che non si è mai interessata di investimenti, potrebbe non saperne mezza dei cicli della congiuntura economica di fine anni ‘90/ inizio anni ’00 e trovare quegli accenni di una noiosità mostruosa, allo stesso modo in cui io ho mostrato poco interesse per i libri di ricette di Jessamine e del suo datore di lavoro.

I personaggi
Credo che, a prescindere da quanto detto in precedenza a proposito di trama e struttura, il vero punto debole del romanzo siano i personaggi. Jessamine ed Emily sono ben strutturate, è vero, ma non bisogna sottovalutare che non sono gli unici personaggi del romanzo.
A mio parere, dal punto di vista dei personaggi, il romanzo è troppo dispersivo, specie per quanto riguarda quelli che ruotano intorno a Emily. Vengono infatti mostrati stralci di vita quotidiana di personaggi che ruotano intorno a Jess e intorno a Emily... ma di fatto queste digressioni mi sembra che portino poco lontano. È vero, è passato qualche mese da quando ho letto questo romanzo, però dandogli una rapida sfogliata la mia impressione è che, ahimè, di questi personaggi aggiuntivi mi sia rimasto in mente ben poco. Forse una concentrazione maggiore sulle due protagoniste sarebbe stata preferibile e avrebbe reso il romanzo meno dispersivo.

Veniamo comunque alle due sorelle.
JESSAMINE: ha ventitré anni, all’inizio del romanzo, è una studentessa di filosofia – poco interessata agli studi, da quanto si vede – e lavora in un negozio di libri. Si perde dietro cause di dubbio interesse e dietro ad amici pseudo-hippy che incentrano la loro vita sul problema dell’abbattimento delle sequoie e che se la filano a malapena, sembra non avere particolari punti di riferimento nella vita, ma poi si dimostra, sul finire del romanzo, responsabile al punto tale da occuparsi della sorella, con la quale era in contatto, ma con cui comunque i rapporti non dovevano essere così tanto intimi, dato che vivevano a migliaia di chilometri l’una dall’altra.
EMILY: ha ventotto anni, all’inizio, ed è a capo di un’impresa che, grazie al boom delle imprese attive in rete avvenuto alla fine degli anni ’90, riesce a ottenere un rapido successo. Al contrario della sorella è più orientata verso la vita professionale piuttosto che verso il resto, prende il lavoro molto sul serio, ma tende a sottovalutare le relazioni umane, come ad esempio si intuisce nel dubbio legame che ha con il suo fidanzato (con il quale ad un certo tratto finisce per parlare di lavoro durante l’intimità) a sua volta imprenditore di successo. Emily sembra una persona sempre razionale, ma in un momento per lei difficile viene fuori la sua vera essenza e si evince che, di fatto, Jessamine ed Emily non sono l’una l’opposto dell’altra tanto quanto sembrava all’inizio, ma nelle due convivono lati razionali e lati irrazionali, che emergono a seconda dei momenti.

Valutazione: 3/5
Vi consiglio di leggere questo romanzo soltanto se vi piacciono romanzi drammatici con protagoniste femminili – o almeno se non trovate troppo soporifero questo genere di storie. Inoltre, altro dettaglio da non sottovalutare, se non avete idea di che come funzionino le imprese quotate e i mercati finanziari, questo romanzo fa lunghi accenni a questi argomenti e potrebbe essere noioso per chi non avesse il minimo interesse per l’economia e per la finanza.
Concludo aggiungendo che forse è preferibile prendere questo romanzo a piccole dosi. Se ogni giorno, ad esempio, dovete fare un tratto di una mezz’oretta in autobus o in treno per andare a scuola/ all’università/ al lavoro, potrebbe essere quello il momento ideale per dedicarsi alla lettura... a condizione, ovviamente, che troviate un sedile libero e che non dobbiate farvi il viaggio in piedi!

giovedì 24 gennaio 2013

Recensione di "Sekrets: le visioni di Megan", Elizabeth Chandler


Questa è la prima recensione che faccio, quindi non ho idea di come andrà a finire. Il romanzo in questione è “Sekrets: le visioni di Megan”, scritto da Elizabeth Chandler. Pare che questa autrice abbia scritto una serie di romanzi paranormal romance, ma al momento attuale non ho letto niente di suo, eccetto questo romanzo.
Anche qui siamo sul paranormal romance / urban fantasy, non proprio paranormal romance, ma il filone di appartenenza non è tanto diverso.

ATTENZIONE: potrebbero esserci piccoli spoiler.
Si ricorda che la recensione è realizzata sotto il mio punto di vista, che non vuole essere vincolante per nessuno.

Prima impressione
Il titolo, sinceramente, mi ha fatto un po’ storcere il naso. Più che di visioni nel romanzo si parla di qualcosa che preferisco non citare per non rovinarvi troppo le sorprese, ma a parte questo è anche e soprattutto il termine “Sekrets” a stonare, a mio parere. Se da un lato sono disposta ad accettare un titolo in inglese, dall’altro non vedo il senso di quella “K”.
Per quanto riguarda la copertina, che potete vedere qui accanto, inoltre, sono alquanto dubbiosa. C’è una farfalla rossa, sopra un paio di presunte ali da angelo. Ottima immagine, se non fosse che nel romanzo non si parla né di farfalle né di angeli.

La trama in breve
Megan è un’adolescente che viene invitata dalla nonna a trascorrere due settimane a casa sua, insieme a lei e al cugino. Potrebbe non esserci niente di strano in tutto questo, se non fosse che Megan non ha mai conosciuto la nonna e il cugino prima di allora e che, quando vi giunge, scopre che la casa in cui i due vivono è identica a una casa che vedeva in sogno.
Fin dal suo arrivo si nota come sua nonna e suo cugino si comportino in modo sfuggente con lei e come entrambi sembrino non essere soddisfatti dalla sua presenza.
Non è tutto: quando Megan ha modo di incontrare l’ex governante che lavorava a casa di sua nonna, scopre che ci sono dicerie sul fatto che la casa sia infestata dal fantasma della sorella dell’anziana signora, morta tragicamente all’età di soli sedici anni.
Come se questo non bastasse iniziano a verificarsi altri fatti molto insoliti: prima di tutto alcuni oggetti (prima una Bibbia, poi un orologio da muro e addirittura un quadro) iniziano a spostarsi in apparenza da soli, e poi Megan inizia a fare sogni strani, a risvegliarsi in un luogo diverso rispetto a quello dove si era addormentata (ritrovandosi nella stanza della prozia deceduta sessant’anni prima, camera che le sembra di ricordare) nonché addirittura a intravedere il fantasma nello specchio.
Tutto questo in un clima sempre più teso, in cui la nonna sembra non ragionare e in cui, soltanto lentamente, almeno i rapporti con suo cugino sembrano migliorare.
Per fortuna accanto a lei ci sono la sua nuova amica Sophie (che pare essere molto ferrata su argomenti quali la reincarnazione, i poteri extrasensoriali e le esperienze extracorporee), nonché l’anziana Lydia, una donna alquanto bizzarra che legge le carte...

Struttura e testo
Il romanzo è piuttosto breve, suddiviso in diciotto capitoli (di cui l’ultimo mi sembra più un epilogo), e in certi momenti mi sembra che scorra un po’ troppo veloce.
Avrei forse gradito maggiormente se l’intreccio fosse stato più sviluppato, con una trama maggiormente intricata; a mio parere il romanzo non ne sarebbe stato appesantito troppo. Questo, però, è soltanto un giudizio mio, magari la Chandler ha voluto di proposito realizzare una narrazione snella.
Il punto debole, secondo me, è un po’ il primo capitolo, che non conquista a pieno. C’è da dire, però, che con il trascorrere delle pagine, il romanzo si fa avvincente.

I personaggi
MEGAN: la protagonista mi sembra un personaggio ben costruito, non mi sembra particolarmente scontata – tranne nel momento in cui, vedendo suo cugino per la prima volta, prova un’innata attrazione per lui; cosa perdonabile, comunque, dal momento che questa attrazione avrà una spiegazione. Per una volta ci ritroviamo con una ragazza che non si arrende di fronte alla prima difficoltà e che sembra riuscire a convivere con delle situazioni non esattamente alla sua portata. Forse è un po’ azzardato e stereotipato il modo in cui si relazione con la scorbutica nonna all’inizio, ma tutto sommato l’autrice riesce a non fare stonare troppo il suo comportamento.
HELEN: la nonna di Megan è un personaggio piuttosto insolito, non si capisce molto bene a mio avviso come mai, pur non volendo effettivamente avere a che fare con Megan (per motivi che saranno spiegati nel finale) l’abbia invitata a casa sua. Inoltre, quando si scoprirà che Megan e suo cugino Matt hanno un’identità non esattamente scontata, non si sa bene come Helen sembri esserne al corrente. Questo mi ha lasciato davvero perplessa, così come il suo comportamento nel finale: inizialmente non voleva avere a che fare con la figlia (nonché madre adottiva di Megan) perché questa aveva sposato un uomo di colore né con i nipoti perché, essendo stati tutti quanti adottati, non erano davvero nipoti suoi, mentre nel finale sembra cambiare idea, per via dei fatti che sono capitati. Ma in realtà, se è accaduto qualcosa che può modificare la sua relazione con Megan, non è successo nulla, a mio avviso, che possa in qualche modo condizionare i suoi rapporti con la madre di Megan (personaggio che non appare mai nel romanzo).
MATT: il cugino di Megan è un personaggio che viene presentato come scorbutico senza mai riuscire ad apparire antipatico; quando la nonna inizia a dare di matto si capisce bene che, seppure non sia entusiasta dall’idea di avere la cugina tra i piedi (più che altro per la reazione che ha provocato nella nonna), non ce l’ha davvero con lei. Di fatto, seppure abbia un ruolo abbastanza centrale nella vicenda, rimane comunque un po’ troppo in secondo piano?
SOPHIE: coetanea di Megan e Matt, interpreta un po’ la parte della ragazza che – analogamente a certe ragazze dei teen-drama americani – fa un po’ la parte della “sfigata”, che viene esclusa dalle altre. Diversamente dai teen-drama, però, vi è una ragione di questa spaccatura che viene a crearsi tra lei e le coetanee: le altre sono ricche e trascorrono le ore libere dallo studio in giro per i fatti loro, Sophie non lo è, deve aiutare la madre al lavoro e a badare alle sorelle più piccole, perciò non ha molto tempo per il divertimento; inoltre il fatto che Matt – il ragazzo che piace a tutte – sembri preferire lei alle altre non la fa certo risultare simpatica alle altre ragazze del luogo.
LYDIA: la donna che legge le carte non è uno dei personaggi che appaiono più spesso, ma senza dubbio ha un ruolo veramente centrale, specie sul finale. Diciamo che a mio parere non le viene dato il dovuto spazio, in certi momenti. Forse la Chandler voleva sorprenderci sul finale, dando importanza a un personaggio che ci era sempre sembrato poco più di un’anziana donna un po’ bislacca?

Valutazione: 3/5
Se volete leggere un capolavoro letterario non ve lo consiglio, è evidente che “Sekrets, le visioni di Megan” non lo è.
Qualora però vogliate trascorrere un paio d’ore prima di andare a letto o se dovete fare un lungo viaggio su un mezzo pubblico, il mio parere cambia: è una lettura che potrebbe non dispiacervi... e magari anche coinvolgervi! con me l’ha fatto.
Per concludere: è un libro da comprare? Magari no, ma se lo trovate in biblioteca vi suggerisco di prenderlo in prestito.

mercoledì 23 gennaio 2013

Sull'utilità del Test di Mary Sue


Qualunque scrittore amatoriale che si rispetti si sarà ritrovato, presumibilmente, almeno una volta a sentir parlare del test di Mary Sue [CONSULTABILE QUI], il test sui personaggi stereotipati. Chiaramente questo test può essere utile, ma mi sento di dire che su certe cose sia un po’ esagerato.

Partiamo dal nome del personaggio. A parte che se io dessi il mio nome a un mio personaggio, non avendo mai incontrato nessuno che si chiami con il mio stesso nome, non vedo come questo nome potrebbe essere stereotipato, passiamo oltre. È vero che anch’io non apprezzo molto trattini, però anche qui è da vedere come vanno le cose. Se ad esempio scrivo un racconto ambientato in Italia e la mia protagonista si chiama Annamaria, non lo scriverò mai Anna-Maria. Ma se il racconto è ambientato in Francia, dove la forma tradotta più comune di questo nome è Anne-Marie, con il trattino perché in Francia si usa, per i doppi nomi, non ci vedrei niente che debba essere criticato. Idem per il nome straniero: se il mio protagonista è un nobile ottocentesco che vive a Milano, difficilmente si chiamerà con un nome straniero, ma qualora questo personaggio sia effettivamente uno straniero, che viva in Italia o meno, difficilmente si chiamerà Gianluigi. Gli stessi discorsi valgono, ovviamente, anche per i nomi asiatici, poi ovviamente anch’io non apprezzo personaggi dai nomi giapponesi in mezzo a personaggi che hanno nomi di tutt’altra provenienza, a meno che non ci sia un’ovvia spiegazione a questo nome. Sul fatto che il nome del personaggio sia piaciuto, si chiami Hunter o Raven... non saprei cosa si intenda con nome piaciuto, comunque sono sicura che i nomi Hunter e Raven non mi piacciono. ;-)
Passerei oltre sugli pseudonimi e verrei all’aspetto.

Il personaggio sembra più giovane della sua età? Qui non vedo dove sia lo stereotipo. Un paio di giorni fa è passato da casa mia il prete per le benedizioni pasquali e mi ha scambiata per una quindicenne, nonostante io abbia già 24 anni. Una volta una signora dal medico mi ha scambiata per una dodicenne, ma quello credo sia un caso un po’ troppo esagerato per fare testo.
Sul personaggio immortale... beh, dipende di che cosa stiamo parlando. ^^ Il fatto dell’immortalità non la vedo necessariamente come una cosa da criticare, dipende che personaggio è. Sul fatto che altri personaggi siano attratti da lui, credo che anche qui sia opportuno fare una distinzione. Se sto scrivendo un cosiddetto giallo della camera chiusa in cui il movente del delitto riguarda un’eredità, difficilmente l’attrazione potrebbe essere qualcosa di fondamentale. Ma se stessi scrivendo un romanzo rosa? L’attrazione ci vorrebbe, no? ;-)
Dal punto di vista dell’aspetto, però, è positivo che il personaggio abbia più di vent’anni – e su questo sono d’accordo visto il numero di storie con personaggi adolescenti – e che sia fuori forma. Sul fatto di essere fuori forma, dipende anche qui da che cosa deve fare. Per esempio non immaginerei un obeso che si arrampica su per le grondaie.

Per quanto riguarda le caratteristiche della storia del personaggio, non me la sento di obiettare. In effetti sulla maggior parte delle cose sono d’accordo, ma vorrei soffermarmi su ciò che garantirebbe originalità.
> Il personaggio ha un’amnesia dalla quale non uscirà mai. Ottima idea, certo... ma poi i lettori cosa dicono, quando gli metti la verità di fronte? Non saprai mai il senso di questa storia, perché dirti cos’è successo al personaggio sarebbe poco originale?
> Il personaggio è un uomo libero che ha sempre fatto lavori umili. E quindi? Che cosa c’è di originale in tutto questo? Il mondo ne è pieno.
> Il personaggio è stato sconfitto più di una volta in qualsiasi tipo di scontro. Su questo condivido in pieno, a meno che il personaggio non sia un supereroe. ^^
> Ha un grave handicap fisico o mentale. Sì, capisco l’originalità, ma dipende che cosa deve fare questo personaggio. Per arrampicarsi su per le grondaie, ad esempio, un individuo con una gamba di legno non mi sembra molto adeguato. Inoltre da questo punto di vista perfino un pirata a cui è stato cavato un occhio sarebbe un personaggio originale e mai visto.
> Fumo, dipendenze, ecc... Condivido sul fatto che sarebbe originale come personaggio per un racconto, almeno non sarebbe un individuo perfetto! Idem per i problemi di personalità, che magari gli causano problemi seri.
> Il personaggio è seriamente coinvolto in una relazione amorosa per tutto il tempo, o ha dei bambini. Sono d’accordo, ma dipende sempre da che personaggio è e da qual è l’obiettivo di chi narra la storia. Che cosa ci vuole raccontare? Un tizio che gira per il mondo difficilmente a casa avrà una moglie che allatta i pargoli ancora in culla.
> Non impara dai suoi errori. Sì, ci può stare, sempre che la storia finisca per avere un senso, però... e non è scontato.
> Non è empatico, è egoista o sadico nei confronti delle altre persone. Sì, ci può stare... ma vediamo però di non farlo odiare ai lettori! ;-)

Per quanto riguarda il lavoro apprendiamo che nessun lavoro sembra essere originale, ma non capisco con che logica venga stilata questa lista. Sul fatto che il personaggio sia un agente segreto, comunque, in una spy-story sarebbe la cosa più normale.
Se così non fosse sarebbe come dire che un giallo non è originale perché viene ucciso qualcuno o che un romanzo rosa non è originale perché c’è gente che si innamora e si chiude in camera da letto.

Per non parlare del fatto che è originale che il personaggio abbia una fede religiosa totalmente diversa dall’autore. E questo che cosa significa, scusa? A parte che i lettori non hanno alcuna idea, di solito, di quale sia la fede religiosa dell’autore, a meno che questo non l’abbia comunicata...
Credo piuttosto che la fede religiosa del personaggio, semmai, dovrebbe essere un minimo coerente con il contesto in cui questo personaggio agisce, anche dal punto di vista storico. Tipo, per fare un esempio, se il mio personaggio fosse nato nell’Antico Egitto, molto probabilmente venererebbe Iside e Osiride, invece di essere buddista. Allo stesso modo mi aspetterei che un medievale che va a combattere le crociate non sia induista.

Vengono inoltre stroncati tutti i possibili poteri magici. È vero che certe cose sono un po’ abusate... però a mio parere è un po’ esagerata l’enfasi che si dà ad alcune di queste.
Ci si dedica poi alle “specie” di appartenenza, dove si scopre che è originale qualsiasi personaggio fantastico non possa essere neanche lontanamente di bell’aspetto.

Evitiamo la sezione scuola, in quanto per capire quali siano gli stereotipi – sui quali sono abbastanza d’accordo – basta guardare un qualsiasi teen-drama americano scelto a caso. Passiamo piuttosto alle conclusioni.
È originale che il personaggio perda simpatia con il tempo, che sia un assassino o uno stupratore, che sia stato in carcere, che non risolva i suoi problemi (ma quindi a che cosa scrivo da fare? Per dire “non siamo arrivati alla conclusione, ma dato che concludere non sarebbe originale è opportuno lasciare la storia a metà?”)...

Cosa dire del Test di Mary Sue, in conclusione? Essenzialmente due cose:
1) per certi versi sicuramente ha un senso, può aiutare a migliorare i propri personaggi;
2) dovrebbe però esserci un adattamento al genere, perché questo test mi sembra fissato con urban fantasy, paranormal romance o storie di vario genere ispirate ai teen-drama.

Di fatto il test è come lo show-don’t-tell: utile direttiva a cui attenersi, ma non è la Bibbia degli scrittori amatoriali.

martedì 22 gennaio 2013

Io Scrivo per Passione ♥

Io Scrivo per Passione è un blog che nasce senza voler influenzare nessuno, tenuto da una "scrittrice amatoriale" (questa è la definizione che preferisco).
Diversamente da altri blog simili non ho l'abitudine di stroncare a priori, quindi se recensirò alcuni libri non lo farò al solo scopo denigratorio, ma dirò sempre quello che penso. Inoltre non sarà difficile trovare post sul mondo della scrittura amatoriale in tutte le sue sfaccettature.

Per quanto riguarda l'autrice... beh, non credo che questo sia molto importante, comunque al momento di iniziare il blog ho 24 anni (che saranno 25 tra poco più di quattro mesi), sono emiliana, sono laureata da poco e al momento non ho un lavoro (si spera di trovarlo) e sono fondatrice di un forum di scrittura amatoriale attivo da tre anni, ben funzionante dal punto di vista degli utenti, dove molti appassionati di scrittura si scambiano consigli e punti di vista su quello che scrivono, ma non solo.

Dal punto di vista della lettura amo molto i gialli classici novecenteschi (sono un'appassionata fan di Agatha Christie in particolare, credo che sia difficile che qualche altro autore possa un giorno raggiungere i suoi livelli e la sua maestria nel nascondere indizi tra le pagine - perché la Christie non frega nessuno, lei gli indizi li mette... peccato che noi mentre leggiamo siamo talmente ciechi da non chiederci perché mai a qualcuno sia passato per la testa di accendere il camino in pieno luglio o di rubare una tenda!), talvolta i thriller a condizione che non siano troppo macabri (la mia debolezza di stomaco mi impedisce di spingermi molto oltre), ma anche molti altri generi. Si fa prima, forse, a dire che cosa non riesco ad apprezzare: sicuramente i romanzi rosa stile collezione Armony, qualcosa l'ho letto ma... diciamo che non fanno per me! ma al primo posto, assolutamente, i fantasy medievaleggianti;  leggere di gente che viaggia a piedi per i boschi in compagnia di maghi, elfi, folletti e chi più ne ha più ne metta, sinceramente mi fa venire l'orticaria. Inoltre non amo i vampiri in generale, siano essi vampiri seri o bambolotti vampiri, quindi dubito fortemente che sentirete mai parlare di questo argomento.

Con questo direi che ho fatto una presentazione accurata per il blog. Dimenticavo soltanto una cosa: non penso che mi limiterò a parlare di romanzi letti e scrittura amatoriale (sia in positivo sia in negativo - certe "fanfic becere", come le chiama un mio caro amico del forum precedentemente citato)... a volte mi spingerò un po' oltre, parlando di lettori.
Non è uguale? Vi chiederete.
No, non lo è.
Sinceramente mi sono stancata di sentire gente che dice "io amo leggere, ma non posso né farlo in pubblico né farmi vedere dai miei amici: loro vanno a ballare ogni sabato sera e non mi approverebbero dicendo che sono uno sfigato, quando i veri sfigati sono loro".
Ebbene, il mio giudizio su questi è: se hai una passione e te ne vergogni, allora sì che sei un vero sfigato! Così come se reputi sfigati i tuoi amici perché hanno interessi diversi dai tuoi.
E poi che cosa c'entra il fatto di andare in discoteca con la lettura e/o con la scrittura? Io, per esempio, amo tutte e tre le cose (e ballare mi stimola anche la fantasia, tanto che parecchie cose che ho scritto le ho elaborate ballando), ho amici a cui piace ballare e amici a cui non piace, così come ho amici a cui piace leggere e amici a cui non piace. Nessuno, però, si è mai sognato di dare della sfigata a me così come io non ho mai dato degli sfigati a loro.
Quindi, cari lettori, invece di pensare di essere povere vittime del mondo e di nascondervi, non vi preoccupate di leggere sull'autobus, sul treno, su una panchina per strada. Io leggevo durante le pause all'università, quando la frequentavo (quando avevo gli esami vicini, però, usavo quel tempo per studiare sinceramente). L'unico commento che ho ricevuto da un'amica alla triennale è stata "sei proprio appassionata di lettura, vedo!" Oppure qualche "cosa stai leggendo?" Considerando che c'erano almeno un centinaio di persone, a volte anche duecento, in certe occasioni, e che poche di queste stavano leggendo, e che nessuno mi dava della sfigata, credo che possiate sopravvivere anche tutti voi. ;-) Ah, ovviamente quando c'era qualcuno con cui fare due chiacchiere, non avevo problemi ad abbandonare il libro. Però, anche all'università, quando ero insieme a persone che magari durante le pause andavano fuori a fumare, preferivo rimanere dentro a leggere... e i loro commenti sui miei libri erano sicuramente più carini rispetto ai miei sui loro polmoni! :-P

Va beh, con questo vi saluto e vi do appuntamento a presto. :-)