È da un po’ che non ho pubblicato recensioni (anche se
penso che tra poco arriveranno quelle del “Corriere” del forum Scrittori della
Notte) e mi sembra che sia giunto il momento di riprendere a condividere con
voi le mie impressioni sui romanzi che leggo.
Ho scelto, stavolta, di parlare del romanzo di Cliff
McNish, “Il Custode di Freya”, un urban fantasy che ho letto nei giorni scorsi.
Ricordo che questa recensione può contenere eventuali
spoiler e che si basa esclusivamente sul mio punto di vista.
Inizio a dire che, se avessi letto questo romanzo dieci
anni fa, forse l’effetto che mi avrebbe fatto sarebbe stato diverso. Al giorno
d’oggi, però, ho avuto certe impressioni e penso di doverle condividere.
Prima impressione
e copertina
Devo dire che il titolo non mi ha colpita granché, ho
deciso di leggere questo romanzo più che altro perché ce l’avevo a disposizione
e non sapevo che cosa leggere.
La copertina dell’edizione italiana, inoltre, non mi
sembra così tanto connessa con quello che effettivamente succede nel romanzo:
si vede una ragazza camminare in un vicolo fatiscente... e non è esattamente
ciò di cui parlerà il romanzo.
La trama
Freya ha 14 anni e ne ha trascorso gli ultimi sei tra un
ricovero in ospedale e l’altro: fin da piccola, infatti, è stata ossessionata
dagli angeli, fin da quando uno di loro è entrato nella sua stanza
sconvolgendole l’esistenza.
Proprio quando la sua ossessione per gli angeli sembra
essere passata si ritrova a tu per tu con una nuova compagna di classe, la
quale è fissata con gli angeli quasi quanto lei, pur non avendone incontrato
uno. Intanto Freya inizia ad essere tormentata dalla visione di un orribile
angelo nero...
La sua vita cambia radicalmente quando rincontra Hestron,
l’angelo che vide quando era bambina, e quando anche Mestraal, l’angelo nero, le
parla... I due, infatti, le rivelano che lei è in parte umana e in parte
angelo, e che se lo vorrà potrà divenire un angelo a tutti gli effetti.
Punti di
perplessità
ANGELI?! - Penso
che ormai lo sappiate: non ho certe fissazioni. Le creature non umane, nei
romanzi fantasy, possono essere interpretate nel modo preferito dall’autore. Però
che delle creature mortali e venute dallo spazio, che hanno deciso di fermarsi
sulla terra per assistere gli umani, condizionandone il libero arbitrio,
vengano spacciate per angeli... beh, mi suscita certe perplessità.
ASSENZA DI SPIEGAZIONI - Se da un lato viene spiegato che
gli “angeli” sono arrivati sulla Terra perché mentre erano di passaggio hanno
pensato bene di fermarsi e di dare assistenza agli umani che hanno incontrato,
dall’altro viene liquidata in tre parole la faccenda della natura mezza
umana-mezza angelo di Freya, in un modo che suona molto “è fantasy, che bisogno
c’è di dare una spiegazione sensata?”, quando avrebbe potuto essere mooooolto
utile: se gli angeli non vengono dalla Terra, com’è possibile che una terrestre
sia mezza angelo? L’autore avrebbe potuto escogitare lo stratagemma di una
madre angelo in incognito (specie tenendo conto che la madre era morta da
anni), ma ha preferito non dare spiegazioni... e l’assenza di spiegazioni,
sinceramente, mi urta abbastanza.
ESASPERAZIONE DEGLI STEREOTIPI DA TEEN-TRAMA - Per favore,
bastaaaaaaaa! Avere i capelli tinti e/o decolorati non significa essere una
stronza a cui tutta la scuola sta dietro seppure si tratti di una stronza. E non
è nemmeno una vergogna dalla quale sia necessario difendersi a tutti i costi. Seppure
detesto lo shopping, neppure amare lo shopping è segno di essere stronza. E soprattutto
non c’è niente di più irrealistico del modo in cui è trattato l’arrivo di
Stephanie (A.K.A. la ragazza fissata con gli angeli): seppure da un lato è
plausibile che ALCUNE persone prendano di mira una perfetta sconosciuta per il
cappotto antiquato che indossa e perché viene accompagnata a scuola dalla madre,
ma che IMPROVVISAMENTE tutta la scuola prenda di mira, da un giorno all’altro,
la stessa persona, non mi sembra poi così tanto credibile... anche perché mi
sembra impossibile che, a causa di un cappotto, TUTTA la scuola da un giorno
all’altro si ricordi di una certa persona.
I personaggi
Freya è la versione più giovane di Bella Swan a
mio avviso una Mary Sue a tutti gli effetti, per la precisione una di quelle
Mary Sue lamentose che non fanno altro che lamentarsi che il mondo è contro di
loro, che tutto quello che fanno va a finire male e che si piangono addosso per
i loro difetti dalla mattina alla sera. A questo si aggiunge che non ha un
minimo di carattere: quello che fa, per buona parte del romanzo, lo fa in
funzione di quello che dice Amy, la sua amica dai capelli tinti e amante dello
shopping, quindi di conseguenza stronza; da quel punto in poi tutto quello che
fa avviene in funzione degli angeli.
Questi ultimi non mi sembrano particolarmente
caratterizzati, in particolare l’“angelo nero”, quello che doveva essere l’antagonista,
si converte al bene in un nanosecondo dopo avere conosciuto seriamente la
protagonista, senza un motivo ben preciso.
Stephanie, che avrebbe potuto apparire come un
personaggio interessante all’inizio, finisce per sembrare alla fine una pazza. La
sua amicizia con Freya, inoltre, mi sembra sbocciare in modo piuttosto
irrealistico. Sembra che a Freya basti che una persona non stia simpatica a Amy
(dopo che abbandona il suo gruppo) per diventare sua amica.
Di fatto i personaggi non li ho apprezzati
particolarmente, e di questo mi dispiace, perché se fossero stati un po’ più
caratterizzati avrebbero potuto non essere poi così male...
Struttura
Il romanzo è narrato in terza persona, saltando da un
punto di vista all’altro. Questo potrebbe essere un espediente interessante per
far conoscere al lettore anche fatti estranei a quanto accade alla
protagonista, ovvero Freya.
Il problema che si pone, però, è che il punto di vista
talvolta salta da un personaggio all’altro da una frase all’altra, confondendo
le idee più che chiarirle.
Valutazione
finale: 2/5
Trama non particolarmente estrosa, personaggi piatti,
stereotipi, incapacità di emozionare, finale banale... Gli elementi per questa
valutazione credo che ci siano tutti. Peccato, perché speravo in qualcosa che
mi soddisfacesse di più.
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