giovedì 15 maggio 2014

Recensione: Agatha Christie, "L'assassinio di Roger Ackroyd" AKA "Dalle nove alle dieci"

Quando ho recensito “Assassinio sull’Orient Express” [X] ho messo al primo posto, con riserva, “L’assassinio di Roger Ackroyd” (pubblicato nel 1926), per originalità nei romanzi di Agatha Christie. Mi rimangio quello che ho detto. Il the best dei the best a mio avviso è “Dieci piccoli indiani”.
Dopo la rilettura de “L’assassinio di Roger Ackroyd” (quanto sarebbe stato più bello il titolo “Dalle nove alle dieci”, con cui uscì molti decenni fa!) devo ammettere che siamo di fronte a un romanzo originale, con una soluzione originalissima, che però sta in piedi solo perché la voce narrante omette, a proprio piacimento, dei dettagli importanti. C’è chi definisce tutto ciò come un inganno o una fregatura. Io rimango del parere che un autore di gialli sia libero di ingannare e di fregare, se lo fa con classe, i propri lettori. L’idea alla base è eccezionale (anch’io, prima di conoscere questo romanzo, cercai di metterla in atto in un mio racconto, tra l’altro!)... però a mio parere un po’ di amaro in bocca, per come è strutturato il romanzo, la lascia.
Nella recensione che segue cercherò di evitare al massimo gli spoiler e ovviamente non farò cenno al finale.

La trama
Ci sono due categorie di romanzi di Agatha Christie: quelli con un’ambientazione particolare (il treno e l’isola deserta dei due romanzi già citati prima) e quelli con un’ambientazione standard. Stavolta siamo nel secondo caso e l’ambientazione standard ha tutti i suoi elementi:
- paesino di campagna;
- villa del ricco di turno, che pur non avendo mai lavorato in vita sua ha una fonte di reddito tale da permettergli di mantenere una mezza dozzina di figli, figliastri, cugini e nipoti di vario grado e di pagare lo stipendio e a dozzine di maggiordomi, cuoche e governanti;
- straniero bizzarro che si è rifugiato nel suddetto paesino e che, guarda caso, corrisponde al nome di Hercule Poirot.
Il ricco vedovo di turno, tale Roger Ackroyd, è in eterna guerra col figliastro (Ralph), che non lavora e sperpera i suoi soldi e che non vuole fidanzarsi con la cugina riccastra di turno (Flora), che non lavora vive a spese dello zio insieme alla madre che a sua volta non lavora e che si lamenta di non ricevere abbastanza soldi. A casa di Ackroyd troviamo anche: un rozzo cacciatore (Blunt) che ha trascorso buona parte della propria vita in Africa, che attualmente non lavora e che pare che sia ospite fisso a casa Ackroyd; il segretario Raymond la cui utilità è piuttosto scarsa; una quantità random di persone di servizio.
La voce narrante, il dottor Shepard, è un caro amico di Ackroyd. Il giorno dopo la morte della fidanzata di Roger (anch’essa vedova, e il cui marito è morto in circostanze sospette), si reca a casa Ackroyd e, in sua presenza, il riccastro apre una lettera a lui indirizzata dalla sua donna, morta suicida. Nella lettera è scritto che si uccide perché qualcuno la sta ricattando, sapendo che ha assassinato il proprio defunto marito. Roger non vuole leggere la lettera prima di rimanere solo e, quando il dottore se ne va, non ha ancora letto il nome del ricattatore.
Shepard torna a casa, dove vive con la sorella pettegola Caroline, e riceve una telefonata che lo informa che Roger è stato assassinato. Accorre sul luogo ed effettivamente Roger è stato pugnalato alle spalle, in una stanza chiusa a chiave dall’interno, ma con una finestra aperta. I sospetti cadono sul giovane Ralph, che sembra essere scomparso nel nulla.
Scotland Yard, come da buona tradizione, brancola nel buio. Per fortune c’è Poirot, sopraggiunto sul luogo per dedicarsi alla coltivazione delle zucche, che come da ancora migliore tradizione decide di utilizzare il medico come “assistente”, perché gli ricorda il suo caro amico e collega Hastings che ormai è emigrato da tempo in Argentina.
Naturalmente nessun mistero è irrisolvibile per le “celluline grigie” del modestissimo Poirot... A proposito, questa è la prima volta in cui, parlando con l’ispettore Raglan (che come da buona tradizione), le menziona:

«Tanto per cominciare: metodo. È quello che so-stengo sempre: il metodo.»
«Ah! Anche per me, questa è la parola d'ordine. Metodo, ordine e cellule grigie.»
«Cellule?»
«Le piccole cellule grigie del cervello!»
«Ah! Certo, certo, ma anche noi le usiamo.»
«Più o meno, però ci sono differenze qualitative.»

Non c’è che dire, quest’uomo è un idolo! E, come dicevo, la modestia è decisamente la sua qualità più marcata! :D

Struttura
Il romanzo è narrato in prima persona, e questo lo rende a mio avviso più scorrevole di quelli in cui la narrazione avviene in terza persona: di base non amo molto i romanzi in cui il punto di vista salta da un personaggio all’altro da una frase all’altra.
Diversamente da altre volte, la prima persona viene sfruttata per nascondere dettagli: Shepard racconta solo ciò che vuole. Questo, alla fine, può fare storcere un po’ il naso.
Certi personaggi sono caratterizzati abbastanza bene, certi altri passano spesso in secondo piano e l’autrice non si concentra molto su di loro.

Valutazione finale: 4,5/5
Se l’idea sulla quale è basato il romanzo fosse stata utilizzata in modo più politically correct (ad esempio facendo iniziare il romanzo in media res, e non con il medico che va a far visita all’amico ancora vivo e vegeto), avrei optato per il massimo. Anche se la stanza fosse stata completamente sigillata, creando un enigma della camera chiusa, avrei optato per il massimo.
Diciamo che mi accontento, che consiglio questo romanzo a tutti gli amanti del giallo, e che un goccio di colluttorio mi toglierà dalla bocca l’amaro di essere stata spudoratamente ingannata, ma con meno classe del solito. ;-)

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