mercoledì 28 maggio 2014

RECENSIONE: "Sconosciuti in treno" di Patricia Highsmith

Avevo già letto qualcosa di Patricia Highsmith, ma era stato molto tempo fa; più o meno dovevo avere 15 o 16 anni, quindi, facendo due rapidi calcoli, è passato un decennio da allora. L’idea che mi ero fatta era “lettura interessante, ma non molto leggera”. Adesso, a dieci anni di distanza, l’idea che ho non è del tutto diversa, dopo avere letto questo romanzo scritto nel 1950.

La trama
Guy è un uomo sulla trentina, si è sposato quando era molto giovane, ma il matrimonio è fallito. Vuole il divorzio da sua moglie, per potersi risposare, ma lei non ne sembra molto convinta.
Bruno ha venticinque anni, è alcolizzato ed è nato in una famiglia ricca, e non vede l’ora di liberarsi di suo padre, che detesta.
I due si incontrano per caso in treno e, durante il viaggio, iniziano a raccontare l’uno all’altro la storia delle loro vite. All’improvviso Bruno ha un’idea: il modo migliore per migliorare le loro vite è sbarazzarsi delle persone che vedono come ostacoli.
Mentre per Guy non è null’altro che un discorso fatto dopo avere bevuto qualche drink di troppo, per Bruno la cosa è diversa e inizia a pianificare il delitto della moglie di Guy. In cambio Guy dovrà, secondo lui, uccidere suo padre.
E infatti Bruno uccide Miriam, l’ex moglie di Guy. Il mistero intorno alla sua morte rimane insoluto e il delitto viene attribuito a un pazzo. In un primo momento Guy non sospetta di Bruno, ma quando lui inizia a tartassarlo di telefonate e lettere capisce che è lui il colpevole. Inoltre Bruno vuole che lui ricambi il favore. Inizia a perseguitarlo, minacciandolo di dichiararsi colpevole del delitto, ma di accusare lo stesso Guy di esserne il mandante.
In un primo momento Guy lo ignora. Quando la situazione diventa troppo ingestibile, però, lo asseconda: spara al padre di Bruno, dopo essersi introdotto nella loro casa, sperando in quel modo di liberarsi di Bruno. Era convinto che sarebbe stata la fine di un incubo, ma per lui è solo l’inizio.

Struttura
Il romanzo è narrato in terza persona e segue per la maggior parte le vicende di Guy, alternate con qualche capitolo in cui seguiamo quello che invece succede a Bruno.
Il punto di vista è generalmente quello di Guy (o quello di Bruno nei capitoli dedicati a quest’ultimo), anche se a volte, all’improvviso, il narratore diventa onnisciente, cosa che, vista la mia “fissazione” per il POV, devo ammettere che non mi è piaciuta granché.
I due personaggi ci vengono presentati, bene o male, come due opposti, specie quando, andando avanti nella lettura, scopriamo quale sia il loro stato d’animo dopo avere commesso i delitti. Bruno sembra appagato da quello che ha commesso, anche se non si capisce bene per quale motivo senta di avere un profondo legame con Guy. Guy, invece, non è affatto indifferente a quello che è accaduto e, fin dal momento in cui commette il delitto, sente di avere un peso sulla coscienza. In realtà in certi momenti i due protagonisti sembrano più simili di quanto potrebbe apparire.

Cos’ho apprezzato:
- l’originalità della trama;
- il fatto che riusciamo a intravedere i pensieri di entrambi i protagonisti.

Cosa non ho apprezzato:
- lo stile dell’autrice, a mio parere, è un po’ pesante;
- per buona parte del romanzo non c’è azione (ma c’è spazio solo per quelle che solitamente chiamo “saghe mentali”);
- le ragioni che spingono Guy ad assecondare Bruno sono, a mio parere, del tutto inverosimili.

Valutazione finale: 3,5/5
Mi sarebbe piaciuto andare oltre, ma in certi momenti la lettura non è che mi abbia presa più di tanto... alla luce di quanto ho già detto, non vado oltre il 3,5.

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